La vicenda storica della civiltà etrusca si sviluppa lungo tutto il millennio che precede la nascita di Cristo e si estende in un vasto territorio dalla Pianura Padana alla Campania. E’ perciò difficile tracciare un quadro unitario delle abitudini alimentari, che variano a seconda delle epoche e delle latitudini.
Qualche aiuto ci può venire dalle fonti antiche, che, benché si riferiscano prevalentemente all’ età romana, danno anche informazioni relative al territorio dell’ antica Etruria, specie dal punto di vista delle produzioni agricole e dell’allevamento.
I principali elementi per la ricostruzione dell’alimentazione etrusca ci vengono però dai dati archeologici.
Abbiamo a disposizione soprattutto le analisi dei reperti ossei animali provenienti dagli scarichi degli abitati, veri e propri rifiuti dei pasti antichi, e, più raramente, resti vegetali ancora conservati (noccioli, frutti, legumi e cereali carbonizzati); anche l’analisi dei pollini rinvenuti nelle campionature delle stratigrafie ci consente la ricostruzione del paesaggio vegetale ed agricolo in una determinata epoca. Ci possiamo poi avvalere delle rappresentazioni figurate, in particolare delle pitture funerarie, e possiamo trarre informazioni dal vasellame o dagli strumenti da cucina rinvenuti negli scavi.
Nel periodo più antico l’alimentazione base della maggioranza della popolazione era costituita da cereali, principalmente frumento, farro, panico ed orzo, che venivano consumati anche sotto forma di farinata e di una sorta di polenta (la puls dei latini), nonchè da legumi (piselli, ceci, lenticchie), cucinati in zuppe oppure, semplicemente, bolliti. Questa dieta, di per sé ricca di carboidrati e proteine vegetali, veniva integrata con frutta, verdura, latticini, e con carne prevalentemente di pecora e capra. La caccia di animali non allevati era invece poco diffusa, se non nei gruppi gentilizi appartenenti alle aristocrazie emergenti: qualche raffigurazione, specialmente sulle armi o su strumenti maschili come il rasoio, ci mostra il capo guerriero intento alla caccia di animali “nobili”, come ad esempio il cervo.
Già nel VII secolo tuttavia la differenziazione tra lo stile di vita dell’ aristocrazia e dei capi rispetto al resto della popolazione è ben visibile in tutto il territorio etrusco, nei corredi funerari così come nei resti dei “palazzi”, le sedi delle piccole corti che dominavano alcune delle città-stato etrusche. Anche nel modo di mangiare i principi etruschi dell’ epoca tendono a rappresentarsi come sovrani orientali, modello di riferimento per tutti i comportamenti della vita sociale: seduto su un trono dall’ alta spalliera il signore, rivestito delle insegne del potere, mangia ad una mensa rotonda servito e accudito da servi; a lui è concesso bere il vino all’ usanza greca, mescolato con acqua e temperato con spezie e formaggio grattugiato.
Proprio nel VII secolo il vino inizia ad essere prodotto e commercializzato dagli stessi Etruschi, come dimostrano i rinvenimenti in tutto il Mediterraneo delle anfore prodotte a Vulci. Ma oltre alla vite viene coltivato - nell’Etruria propria e in quella campana - anche l’olivo; così l’olio entra nell’ uso comune, mentre la mensa degli Etruschi nel frattempo si arricchisce anche di frutti di origine orientale, come il melograno.
La specializzazione dell’ allevamento portò ad un maggiore consumo di carne, specie quella di suino; e ciò non soltanto nella Pianura Padana, ma anche in Toscana, dove si narra che i maiali venissero allevati al suono di strumenti musicali. La carne bovina resta invece riservata soprattutto ai nobili, mentre tra le carni consumate abitualmente erano certo quelle dei volatili (ad esempio le anatre), e del pollame, introdotto almeno dal VII secolo; proprio da questo periodo, tra l’altro, le uova figurano spesso tra le offerte funerarie di cibo.
Comunque nel VI e V secolo a.C. la dieta-base della maggior parte della popolazione resta ancora affidata principalmente al consumo di legumi e soprattutto di cereali, della cui produzione gli Etruschi erano maestri, grazie ai sistemi di coltivazione avanzati basati sulla rotazione delle colture che avevano introdotto. Le due pianure che dominavano all’ epoca, quella padana e quella campana, garantivano secondo Plinio la ricchezza di questo popolo, e, in momenti di difficoltà Roma importava cereali dall’ Etruria, così come Atene nel V secolo si approvvigionava a Spina dei prodotti dell’ Etruria padana, che oltre ai cereali esportava certo anche carne di maiale.
Le classi colte in questo periodo hanno come modello il banchetto greco, con l’unica differenza che a quello etrusco partecipavano anche le donne: si banchettava sdraiati su lettini (le klinai) e si utilizzava sempre più spesso ceramica importata dalla Grecia (prima da Corinto e dalla Grecia Orientale, poi da Atene). Numerose sono le rappresentazioni di banchetti, presenti soprattutto nelle pitture funerarie, ma quanto questo evento sociale fosse considerato rappresentativo di uno “status” (e delle capacità economiche sottese alla sua organizzazione) è testimoniato anche dalle statue funerarie e dai sarcofagi con banchettanti, nonché dai ricchi corredi con strumenti da banchetto, ceramica e vasellame in bronzo, spiedi per arrostire le carni e calderoni per bollirle.
Nei secoli che precedono la romanizzazione, e in particolare il IV ed il III, nonostante i chiari segni di una crisi politica, non sembrano corrispondere ad una reale fase di recessione economica: ancora al tempo di Scipione le città etrusche sono infatti in grado di fornire la maggior parte delle risorse alimentari, specie cereali, per la campagna d’ Africa. Nella tomba Golini I di Volsinii-Orvieto, della metà del IV secolo la rappresentazione delle diverse fasi di preparazione dei cibi e il ricco apparato di musici e servitori, danno una chiara idea del livello di potenza e di autoreferenzialità dei ceti dominanti.
Proprio in quest’ epoca scrittori greci come Teopompo censurano il lusso delle tavole dei ricchi etruschi, resi molli e privi di virtù militari dal loro stile di vita. Si tratti o meno di esercitazioni retoriche, non pare comunque priva di significato la generalizzata diffusione dell’ usanza di questa moda culturale anche presso le classi medie emergenti, che tentano di imitare nei corredi funerari
l’ apparato conviviale. La moltiplicazione del vasellame deposto è un trasparente tentativo di supplire con la quantità allo scarso pregio qualitativo e al modesto valore intrinseco dei pezzi, ma allo stesso tempo di rimarcare un nuovo ruolo ricoperto all’interno della società, come nel celebre caso di Volsinii. In questa città, uno degli ultimi baluardi dell’ indipendenza etrusca, gli aristocratici dovranno chiamare in soccorso la potenza romana nel 265 a.C. per fronteggiare una rivolta dei ceti servili che li aveva scacciati dal potere.
Scritto per Luigi Malnati. Disponibile ll'indirizzo: http://www.beniculturali.it/mibac/multimedia/MiBAC/minisiti/alimentazione/sezioni/etastorica/etruria/index.html . Modificati e adattati per essere postato per Leopoldo Costa
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