7.31.2012

IL POTERE ASSOLUTO DEL SENO.

Simbolo erotico, strumento di dominio femminile e indicatore economico. Fenomenologia delle curve.

Non è da tutti la franchezza del dottor Harvey T. Leathem, medico sessuologo. La quarta di copertina del suo libro "Sex for One", nel 1966, era un capolavoro di comicità involontaria: «In questo nuovo libro il dottor Leathem, uno dei più noti esperti american in el campo della psicosessualità, rivela ciò che ha appreso sull’autoerotismo in anni di pratica».
Più timido, l’etnopsichiatra Georges Devereux inaugurava un saggio sulle mitologie dell’organo femminile (Baubo, la vulve mythique) ammettendo che sì, tra le sue fonti iconografiche c’era anche «Playboy», ma che lo aveva sfogliato dal barbiere. Non c’è niente da fare, quando un uomo si dedica a certi studi, deve guardarsi come può da gomitatine e sghignazzi.
Prendiamo il caso dei neozelandesi Alan e Barnaby Dixson, padre e figlio, primatologo l’uno, antropologo l’altro, che hanno scelto una specialità accademica piuttosto insolita: il décolleté. Il loro strumento di lavoro è un apparecchio simile a quello che si usa per l’esame della vista: la cavia appoggia mento e fronte, ma invece della solita piramide con le lettere dell’alfabeto vede scorrere immagini di donne nude, tutte diverse per dimensioni e caratteristiche del seno.
Osservando il comportamento dell’occhio, Dixson e figlio cercano di determinare quali sono le preferenze maschili quanto a misure, forma, colore dell’areola. I due studiosi hanno condotto i loro esami in Camerun, Cina e altri Paesi. Alle isole Samoa li hanno presi per pervertiti. «A volte la gente pensa che sto usando fondi del governo per guardare le tette», confida Barnaby, che usa un’apparecchiatura da sessantamila dollari.
Florence Williams, giornalista scientifica americana che li ha incontrati e intervistati, li definisce «breast watchers supportati dalle istituzioni», variante guardona dei più casti «bird watchers», ma li prende sufficientemente sul serio da aprire con loro il suo libro Breasts. Sottotitolo: Storia naturale e innaturale del seno. Un’indagine a metà tra biologia, antropologia e medicina.
Nonché politica, nel senso più ampio del termine, non confinato ai dibattiti sul corpo delle donne in tv o sui canoni estetici dominanti. Certo, Williams non trascura l’azione congiunta di due tecnologie basate sul silicio—il computer e le protesi mammarie — nel promuovere, tra gli adolescenti incollati al monitor, un ideale di bellezza «pneumatica», ma non si ferma lì.
Il décolleté è politico inmille altri modi. Due psicologi sociali, in una ricerca pubblicata nel 2004, hanno analizzato tutte le «conigliette dell’anno» di «Playboy » dal 1960 al 2000 (un lavoraccio, ma qualcuno doveva pur farlo), correlando le loro misure a indicatori del benessere sociale: pare che, nelle preferenze dei maschi, a periodi di crisi economica corrispondano seni più floridi, e viceversa. Una conclusione contraddeta platealmente dalle maggiorate del «Drive in», che spopolarono nei primi anni Ottanta quando l’Italia aveva, economicamente, il vento in poppa (silenzio, lì al quarto banco!).
Ma a esser politico non è solo il seno come simbolo erotico, è anche il seno materno, che accumula più tossine di altri organi ed è suo malgrado il canale più diretto per trasmettere ai posteri i mali della nostra vita inquinata. È oltretutto un sensibilissimo termometro geopolitico: «Dopo gli attentati terroristici dell’undici settembre», ricorda Williams, «molte nuove mamme in tutto il Paese ebbero temporanei problemi nel produrre una sufficiente quantità di latte».
D’altro canto, che il seno sia un’arena politica, se non proprio un campo di battaglia, è evidente fin dai primi flirt adolescenziali. Nick Hornby, in Alta fedeltà, ha descritto gli assalti, mille volte respinti e mille volte ritentati, per espugnare quelle misteriose fortezze: «Attacco e difesa, invasione e resistenza... era come se i seni fossero proprietà che il sesso opposto aveva annesse illegalmente; mentre appartenevano a noi, le rivolevamo indietro». 
La contesa, a ben vedere, è molto più antica, e ci riporta alle origini della specie. Ma poiché, nota Williams, «a differenza del pollice opponibile i seni non lasciano tracce fossili», è fatale che le teorie sull’origine e la funzione delle agognate protuberanze abbiano, in modo più o meno implicito, una componente ideologica. La scimmia nuda, bestseller del 1967 dell’etologo Desmond Morris, ipotizzava che il seno si fosse evoluto come segnale di costante disponibilità sessuale per il maschio cacciatore, che tornava sfatto in caverna dopo una dura giornata a rincorrere bestie con la clava.
Per Williams è un caso di machismo scientifico, «un manifesto del predominio maschile, presentato esattamente nello stesso periodo in cui il movimento di liberazione delle donne stava prendendo piede».Ma l’antropologa femminista Frances Mascia-Lees riconquista il territorio espugnato: il seno è cosa nostra, si è sviluppato perché era utile alla donna nella lotta per l’esistenza.
Dove si fruga, è tutto politica o fantapolitica: «Uno zoologo che studia gli animali del deserto vede nel seno qualcosa di simile alle gobbe del cammello, un adattamento che consente di sopravvivere in climi aridi attraverso accumuli di fluidi e di grasso. Per le femministe, la storia del seno è una parabola dell’autodeterminazione ». Un ricercatore israeliano ha ipotizzato perfino che il seno serva amantenere in equilibrio la donna, che altrimenti cadrebbe a terra a causa del suo sedere più pesante.
Tutto lascia sospettare che sia un gaffeur professionista. Il seno è anche un formidabile strumento di dominio, come dimostra un piccolo esperimento di psicologia sociale condotto qualche anno fa a Brittany, in Francia. Un’attrice ventenne di «media avvenenza» doveva sedersi in un bar, guardare distrattamente verso la pista da ballo, avendo cura di non incrociare nessuno sguardo, e tenere il conto di quanti uomini la approcciavano. Poi si imbottiva di lattice fino a crescere di una taglia, ed entrava in un secondo bar. Un’altra taglia ancora, un terzo bar. Il tutto per dodici serate nell’arco di due settimane.
Risultato? Nella versione pianeggiante la invitarono a ballare in 13, nella versione collinare in 19, nella versione montuosa in 44. Altre due taglie, e avrebbe potuto fondare una piccola monarchia. Volete il colpo di grazia alla dignità del maschio? Steven Platek, neuroscienziato evolutivo, ha osservato tramite la risonanza magnetica cosa accadeva nel cervello di alcuni giovani studenti a cui erano mostrate immagini di seni.
Una devastazione: la mera visione del topless «cattura l’attenzione del maschio al punto da distrarre i suoi processi mentali e cognitivi in modi che potrebbero essere disfunzionali in altre capacità». Questa ossessione maschile porta a riconsiderare la vicenda della prima protesi in silicone, nel 1962, dopo che si era tentato vanamente con biglie, trucioli, olio di arachidi, latte di capra, cartilagine di bue. Timmie Jean Lindsey, ventinovenne texana già madre di sei figli, si prestò per prima alla nuova farcitura.
Aveva forse problemi con il suo seno? Nient’affatto. Ma i medici le promisero che, se si fosse sottoposta a quell’intervento sperimentale, avrebbero risolto per via chirurgica la vera origine dei suoi complessi: le orecchie a sventola. Quanto ai suoi chirurghi, chissà che la notte non avessero lo stesso sogno selvaggio del professor Kepesh di Philip Roth: svegliarsi, una mattina, trasformati in una mammella gigante.

Di Guido Vitiello, estratti dalla rivista "La Lettura ", inserto "Corriere della Sera" 29 de Luglio 2012. Compilati, digitati e adattati per essere postato per Leopoldo Costa.


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