3.17.2016

COME LE BACCANTI ROMANE CELEBRAVANO LORO DIO



Ritmi sfrenati, vino a fiumi e sesso senza limiti. Lo facevano strano, il loro servizio al dio. Né perpetue e tantomeno candide suorine, le baccanti (così si chiamavano le sacerdotesse che componevano l'allegro seguito di Bacco, divinità del vino e versione latina del Dioniso greco) popolavano certamente i sogni erotici degli antichi romani. Ma chi erano queste donne nella vita reale? Che cosa succedeva durante i loro rituali? E che origine aveva questa tradizione? Dati storici certi non ne esistono. "Sia in Grecia sia a Roma, la varietà dei rituali è grande, ma spesso dobbiamo accontentarci di riferimenti velati o di rappresentazioni esagerate in negativo, a scopi polemici" spiega Diana Guarisco, storica delle religioni all 'Università di Bologna.

LASCIVE. 

In effetti le baccanti, chiamate mènadi nel mondo ellenico (dal greco mainomai, "essere pazzo"), non escono mai troppo pulite dalle pagine antiche. Gli autori latini raccontano che erano tipe tutte "droga, sesso e rock'n'roll", che se ne andavano in giro di notte, correndo semi nude per i boschetti di campagna, con abiti leggeri e trasparenti e una pelle di cerbiatto buttata di traverso sul fianco sinistro. Tra i capelli spettinati portavano corone di edera, di quercia o di abete. Ebbre di vino, danzavano al suono di cimbali, timpani e flauti, dandosi il ritmo con il tirso, un grosso bastone lungo e nodoso coronato di edera e di pampini.

Il vino scorreva in modo esagerato, come esagerato era tutto quel che si svolgeva durante i baccanali. A nulla valevano, o forse valevano proprio per avere questo effetto, le raccomandazioni dello stesso Bacco-Dioniso in una commedia del greco Eubulo (IV secolo a.C.): "Alle persone di buon senso io non preparo che tre crateri [vasi per la mescita]: uno di salute, quello che bevono per primo; il secondo d'amore e di piacere; il terzo di sonno. Dopo aver bevuto il terzo, quelli che sono saggi vanno a tetro. Il quarto cratere non lo conosco: appaniene all'insolenza; il quinto è pieno di grida; il sesto trabocca di cattiverie e di scherzi di cattivo genere; il settimo ha gli occhi pesti; l'ottavo porta guai; il nono è bile; il decimo la mania".


RAVE PARTY.

Ed ecco infatti la mania, la follia delle invasate: lungo il Tevere risuona il clamore di quella musica frenetica e ipnotica dal ritmo violento e cadenzato che le accompagna sempre più scomposte e folli al culmine dell'esaltazione. Allora, con gli occhi stravolti, con voce profonda e alterata, come non fossero più loro a parlare, le baccanti invocano il loro dio: "Euhoe Bacche! Euhoe Bacche! Euhoe Bacche!", come una cantilena. Nel furore divino che le ha prese, con una forza spaventosa che non sanno neppure di avere, aggrediscono un cerbiatto e lo sbranano, divorandone la carne cruda.

Hanno digiunato dieci giorni per prepararsi a questo momento e altrettanto tempo sono rimaste caste, perciò adesso si lanciano sul vino e sulla carne sanguinante con estrema voracilà. Poi si gettano con pari slancio sugli uomini, i baccanti introdotti nel rituale dalla sacerdotessa campana Annia Paculla nel 188 a.C. Non si direbbe, eppure sembra che non usassero altre sostanze eccitanti tranne il vino e, secondo alcuni autori antichi, le foglie d'edera, che con la loro tossicità avrebbero provocato la frenesia.

"La possessione rituale era una "follia" che spingeva al furore incontrollato: essere posseduti dal dio significava agire come invasati e senza la capacità di rispondere di sé" spiega l'esperta. Lo scriveva anche lo storico ateniese Senofonte, all'inizio del suo Convivio: "tutti coloro che sono posseduti dagli dèi danno uno spettacolo impressionante: essi presentamo i lineamenti e lo sguardo mostruoso della Gorgone, hanno una voce spaventosa e una forza sovrumana". Ma al di là della religione, secondo alcuni studiosi i "sintomi" dell'invasamento - i movimenti convulsivi, la testa rovesciata all'indietro, l'alterazione della personalità- ricordano molto da vicino quelli dell'isteria.

Che fosse isteria, invasamento o solo una messinscena, la possessione consentiva alle donne di fare qualurque cosa, soprattutto ciò che nella realtà non avrebbero mai potuto permettersi. Specie in Grecia, dove le donne doriche, così austere, e le ioniche, frenate dalle leggi che imponevano tanto ritegno, erano costrette a vivere una vita da sorvegliate. "Sulla presunta liberazione di queste donne, però, sarei molto cauta: certo, del dionisismo fa parte l'idea della rottura dell'ordine, ma momentanea e ritualmente controllata" dice Guarisco.

TUTTO PERMESSO. 

Di sicuro, però, in quei momenti di libertà sfrenata non si perdeva tempo in convenevoli. "Durante i riti vigeva la massima libertà sessuale e si praticavano, volenti o nolenti, rapporti di ogni genere. Anche quelli omosessuali, normalmente non ammessi dalla società romana" dice Diana Guarisco. Lo storico Tito Livio raccontava che la solita sacerdotessa Paculla aveva stabilito che i riti si svolgessero solo di none, non più tre volte all'anno, ma cinque volte al mese, e che fossero aperti a partecipanti di ogni tipo: uomini e donne, nobili e popolani, liberi e schiavi.

Ben presto, quindi, i baccanali si erano trasformati in orge: secondo lo storico latino, gli adepti praticavano la violenza sessuale reciproca e gli uomini che si rifiutavano di compiere il proprio dovere venivano portati in grotte nascoste e "rapiti dagli dei" (ovvero uccisi). Se diamo per scontata  l'esagerazione dei sacrifici umani, a ben vedere nei baccanali non succedeva molto più di quanto succedesse in certi banchetti romani, in cui spesso, tra il vino e il cibo, poteva scapparci anche un'incursione tra le lenzuola di qualche fanciulla più o meno consenziente.

Prova ne è che nel II secolo a.C. le associazioni bacchiche avevano un'enorme diffusione, non solo il Roma. Livio riferisce che gli adeptierano "un 'ingence molcitudine, quasi un secondo popolo" e che i baccanali erano diffusi in tutta la Penisola, anche se l'Etruria, la Campania e le Puglie erano, secordo lui, le loro zone di origine. Molto probabilmente a importare a Roma questi rituali furono, al tramonto del III secolo a.C., gli abitanti dell'antica colonia greca di Taranto, in gran parte deportati nell'Urbe alla fine della Seconda guerra punica. In Grecia, infatti, Dioniso, visto nel suo aspetto di divinità orgiastica, era conosciuto con l'appellativo Bakkhos fin dal V secolo a.C.

FESTE DI PRIMAVERA. 

I culti connessi a Bacco erano nati probabilmente dalle feste di primavera con cui si propiziava la fertilità dei campi e dei raccolti. Soltanto dopo erano diventati un'occasione godereccia.

"Secondo una vecchia interpretazione, Dioniso era una divinità agraria, simbolo del rinnovamento della vita" conferma Guarisco. "In origine i baccanali coinvolgevano più popolazioni che si riunivano per diversi giorni, praticando sacrifici animali". Le pratiche sessuali associate avevano sì una funzione propiziatoria, ma erano anche la naturale valvola di sfogo per i pastori, appena tornati da una lunga stagione di transumanza con l'unica compagnia delle pecore.

Anche in Grecia le mènadi affrontavano, di notte, una corsa sfrenata: l'oreibasìa sul monte Parnaso o sulle alture del Citerone e del Taigeto. Raggiunto l'antro Coricio, una grotta sacra, si abbandonavano a danze selvagge al ritmo del ditirambo, il canto corale del culto dionisiaco, finché raggiungevano l'estasi. Allora sbranavano un animale selvatico in una specie di banchetto mistico. Innaffiato da abbondanti bevute.

INCONTRO MISTICO.

Le danze orgiastiche faceva no parte delle pratiche rituali iniziatiche, i misteri, durante i quali il dio possedeva gli adepti nell'estasi. Nessuno era autorizzato a svelare i particolari di quell'incon tro segreto, ma si sa che non mancava mai il cosiddetto "vaglio mistico", una cesta di vimini a forma di conchiglia in cui, narrava il mito, la dea Atena aveva nascosto il fallo di Dioniso, strappandolo ai Titani mentre divoravano il dio. "In realtà il vaglio era uno strumento agricolo che i contadini usavano per ripulire il grano: rappresentava il legame di Dioniso con l'agricoltura" spiega Guarisco.

Le partecipanti ai misteri di Bacco si riunivano in gruppi, detti tiasi, e iniziavano i nuovi discepoli in una stanza che si chiamava telestria Il rituale prevedeva, oltre alla lettura di "testi sacri", al sacrificio e alla cena a base del solito povero cerbiarto accompagnata da una mistica bevuta di vino, anche la purificazione del candidato. Cosparso con un miscuglio di argilla e farina (il bianco aveva probabilmente un valore simbolico). il novizio era poi costrello a declamare la formula della sua rinascita, la stessa pronunciata durante i matrimoni ad Atene: "Sono sfuggito al male e ho trovato il meglio".

DOPPIA VITA.

Ma cosa si può dire invece delle baccanti nella loro vita di tutti i giorni? Di sicuro che erano "insospettabili": donne bene integrate nella normale vita sociale. "In generale i partecipanti ai misteri non adottavano uno stile di vita che li separava dalla comunità. Anzi, tipico dell'estasi dionisiaca era il non lasciare tracce di ciò che si era compiuto durante la possessione" sostiene Guarisco. "Per quanto riguarda invece la loro estrazione sociale, non c'è una risposta univoca perché il dionisismo assunse forme e connotazioni sociali diverse. Si spaziava da sacerdozi regolari spesso detenuti da donne, ma anche da uomini, di alto ceto, a culti socialmente trasversali, cui partecipavano membri di famiglie nobili e plebee".

Se però i greci non opposero mai resistenza ai culti orgiastici (non è un caso che nel dramma di Euripide Le baccanti, del V secolo a.C., venga punito proprio chi si rifiuta di riconoscere Dioniso come dio), a Roma le cose andarono diversamente. Nel 186 a.C .. su iniziativa del severo Catone, non per niente detto il Censore, il senato emanò un provvedimento, il De Bacchanalibus, per vietare questi riti lascivi, che turbavano l'ordine sociale. Da baccanti a bacchettoni, il passo per i romani fu breve.

Di Maria Leonarda Leone, estratti "Focus Storia" n.82, agosto 2013, pp.44-50.  Compilati e adattati per essere postato per Leopoldo Costa.

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