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Il ritrovamento di Mosè affidato al Nilo |
Figli abbandonati in fasce: per miséria, superstizione o "controllo demográfico". Dagli antichi Greci fino a oggi, le storie di generazioni di bambini
Spesso le madri abbandonavano i figli con oggetti che potevano servire a un futuro riconoscimento.
Mosè, liberatore degli Ebrei dalla schiavitú d’Egitto, era un bambino abbandonato. A tre mesi sua madre l’aveva infilato in un cesto di papiro e affidato alia corrente dei Nilo (Esodo 2:3). II resto è storia (biblica): a trovarlo fu la figlia dei faraone che lo crebbe come un principe alla corte egizia. Un caso fortunato il suo, visto che gli Ebrei, se non permettevano l’uccisione dei figli indesiderati, ne consentivano l’abbandono o la vendita. E ancora oggi, dei circa 550 mila bambini nati vivi in Italia ogni anno, almeno 3.400 vengono lasciati in ospedale appena dopo il parto, anche se il numero totale degli abbandoni potrebbe essere di qualche migliaia l’anno. Quella dell’“esposizione” dei figli è quindi una pratica vecchia quanto il mondo, accettata nell’antichità e a lungo consentita dalla legge.
Salvato.
«Il termine “esposizione” deriva dal latino expositio che non contiene in sé l’idea di ríschio o dei danno: significa semplicemente “mettere fuori”, “offrire”, Se avveniva - come era d’uso - in “esporre un luogo di passaggio era per i piccoli addirittura un’opportunità di sopravvivenza e per i genitori un modo per limitare le dimensioni della famiglia, in assenza di metodi contraccettivi» precisa la storíca Flores Reggiani, autrice di un libro sull' argomento. I Greci esponevano i bambini deformi, quelli che rappresentavano una bocca in più da sfamare o quelli dei sesso “sbagliato”: “Se (tocco ferro) avrai un bambino, se è maschio lascialo vivere, se è femmina esponila” si legge in un documento dei I secolo a.C. Ma il piccolo, deposto in una cesta con in testa una corona (segno di inviolabilità), era spesso abbandonato in modo rituale: i genitori facevano infatti sapere il luogo dell’esposizione, magarí a una coppia senza figli.
Pari opportunità.
Gli antichi Romani erano più imparziali e abbandonavano in differentemente maschi e femmine. Dove? Di solito nella piazza dei merca to, accan- to alia colonna dei latte (lactaria), chiamata cosi perché si sperava che qualche donna si impietosisse e si fermasse ad allattar- li. Nella società romana comunque l’ab- bandono dei figli era un comportamento piuttosto naturale. La legge non obbligava i genitori a tenere la prole e talvolta quelli delle classi piú elevate se ne sbarazzavano per non spartire il patrimônio. Ma soprattutto lo si faceva per miséria o per sfuggire a profezie di sventura.
Ma non tutti i trovatelli diventavano, come Mosè, principi d’Egitto. Molti alimentavano il mercato degli schiavi. Alcuni erano anche avviati ad altre “carriere” e diventavano prostitute, eunuchi o gladiatori. I bambini potevano poi essere venduti direttamente dalla famiglia: solo nell'età imperiale fu proibito cedere bambini figli di cittadini liberi per denaro o per saldare un debito. I genitori non erano tuttavia multati: la legge si limitava a dichiarare nullo l’atto di vendita.
Ogni lasciato è perso.
Con l’avvento dei cristianesimo le cose non cambiarono un granché. Fino al IV secolo la pratica era diffusa almeno quanto lo era stata tra i pagani di Roma. A mutare fu il luogo in cui venivano abbandonati: si cominciarono a prediligere infatti le chiese, di solito edifici pubblici romani riconvertiti. Per certi versi la vita dei trovatelli addirittura peggiorò. Nel 331 una delle tante riforme promos- se dall’imperatore Costantino stabiliva - in matéria di abbandono dei figli - che que- sti non potessero più essere reclamati dalla famiglia d’origine, perdessero il loro status di nascita e potessero quindi diventare schiavi. Nell’antica Roma invece i genitori conservavano la patria potestas anche sulla prole abbandonata: continuavano a esercitare il potere di vita e di morte e potevano riprendersi i pargoli in qualunque momento a patto di risarcire la famiglia d’adozio- ne delle spese sostenute.
Contemporaneamente, lo stesso impera- tore Costantino stanziò fondi pubblici per il soccorso degli abbandonati e per sostene- re le famiglie piú bisognose al fine di disin- centivare la pratica, e nel 318 stabili la pena di morte per chi si macchiava di infanticidio. Ciononostante, la vendita dei figli continuo a essere permessa.
In regalo.
Soltanto con Giustiniano (e con il suo códice di leggi dei 534) 1’abbandono fu equiparato all'infanticidio. Apparvero allora i brefotrofi (dal greco bréphos “neonato” e tréphein “nutrire”) per l’infanzia abbandonata. Secondo varie fonti, in Italia il primo “ospizio” per neonati abbandonati fu quello fondato a Milano nel 787:l’arciprete Dateo pare Tavesse istituito per evitare che i piccoli nati da adultério o per fomicazione morissero senza essere battezzati, dell’oblato, risparmiavano soldi per nutrirlo e, se benestanti, evitavano di do ver divi- dere il patrimônio. Cli oblati dal canto loro erano sistemati per la vita (anche eterna) ed erano accettati dalla società (a volte piú dei loro fratelli, almeno quelli poveri).
Nei monasteri medioevali i bambini venivano istruiti, pregavano in media quattro ore al giomo, dormi vano dalle 5 di será alie 2 dei mattino, erano vestiti, protetti e riforillati con la rarissima carne piú che i monaci adulti. Sottostavano a una disciplina severa, ma in cambio potevano aspirare a posizioni sociali alie quali non avrebbero mai potuto ambire altrimenti. Man mano che i secoli passa vano, la loro vita si fece però sempre piú austera. Tanto che fu loro vietato abbandonare gli istituti, pena la scomunica.
Religiosi per forza.
Alla lunga, la spartana vita degli oblati cominciò a pesare a chi non aveva un’autentica vocazione. Già nell’805 Cario Magno cercò di evitare che i monasteri si trasformassero in rifugi per bambini abbandonati. A scanso di equivoei, nel XIII secolo papa Gregorio IX stabili che la conferma dei voti avvenisse a 12 anni per le ragazze e a 14 per i ragazzi: 1’oblazione divenne meno definitiva e chi non voleva restare nei monasteri poteva andarsene dopo quell'età.
I ricchi d’altronde temevano sempre meno la spartizione delTeredità: tra il 1000 e il 1200 furono messe a punto leggi che garan-
A flanco di queste soluzioni, si fece strada un nuovo sistema di assistenza. I bambini abbandonati potevano essere “oblati”, offerti cioè a un monastero come dono. Per sempre. A partire dal V secolo le famiglie povere potevano decidere di donare un figlio a Dio senza fare offerte aggiuntive: quelle ricche invece potevano liberarsi dei neonato solo dietro pagamento di una somma. In fin dei conti a guadagnarci, si pensava, erano sia i genitori che i figli: i primi erano protetti a vita dalle preghiere tivano la concentrazione dei patrimônio nelle mani di un solo erede, di solito il primogênito. Potevano quindi allevare più fígli, da educare ugualmente in strutture religiose dove oltre alia teologia si insegnava anche la giurisprudenza, matéria che apriva le porte di carriere come quella, assai remunerativa, di notaio. Siccome nemmeno gli ecclesiastici erano entusiasti di allevare oblati che poi avrebbero lasciato la vita religiosa, l’oblazione fíni per essere riservata solo alle figlie femmine.
Ricchi aiuti.
I bambini (illegittimi, in cattiva salute, figli di religiosi 0 rifiuta- ti dalle famiglie) continuavano però a essere abbandonati, complici anche le guer- re e le epidemie, come le pesti dei Trecento e dei Quattrocento. Tomò allora in auge 1’utilizzo di trovatelli come servi (se non come schiavi) nelle famiglie abbienti. Alcuni trovavano invece ospitalità, tra malati e senzatetto, in ospizi e ospedali sovvenzionati dalla generosità di famiglie ricche che si sfidavano in gare di carità.
Proprio alla fine dei Medioevo, quando i trovatelli diventarono troppo numerosi, apparvero le prime strutture ad hoc. Come, a Firenze, lo Spedale degli Innocenti (un nome ispirato alia Strage degli innocenti di biblica memória) fondato nel 1445 e che nell’arco di mezzo secolo si trovò ad accu- dire ogni anno circa 900 “gettatelli”, come venivano chiamati gli esposti toscani.
Trappole mortali.
II debutto di un trovatello negli istituti era accompagnato dal suono di un campanello: lo azionava dall'estemo la persona che depositava il piccolo fardello sulla “mota degli esposti”. Dall'intemo la “rotara” addetta all'accettazione faceva girare il cilindro verso l'interno e accoglieva il bambino. Ma che cosa attendeva i nuovi arrivati?
Innanzitutto venivano battezzati, specie se arrivavano con qualche grano di sale sul collo, segno che non avevano ancora ricevuto il sacramento. Poi i maschi venivano mandati a lavorare come apprendisti, mentre le femmine ricevevano una piccola dote e venivano fette sposare dalle autorità istituzionali. Superare il primo mese di vita era tuttavia quasi un miracolo. II tasso di mortalità era altíssimo: a Firenze, neirospizio di Santa Maria a San Gallo, raggiungeva il 20 per cento a soli 30 giorni dalla data d’ingresso. Un altro 30 per cento moriva entro l’anno d’età. Queste strutture, nate più precocemente in Italia che altrove, si diffusero in tutt’Europa e divennero i mo- delli di gestione dell’abbandono per i successivi 5 secoli.
Ruote moderne.
Nel '700 l’abbandono dei bambini era praticato ancora su larga scala: gli amministratori degli istituti non riuscivano piu a far fronte alie spese che la cura deirimpressionante numero di esposti richiedeva. Basti pensare che ancora in pie- no ’8oo si contavano in Italia 40 mila bambini abbandonati ogni anno e 1.200 ruote in attività. Fu allora che proprio la mota fu accusata di essere la maggiore responsabile dei fenomeno, anche grazie all’anonimato che garantiva. Uno dopo 1’altro questi meccanismi vennero murati finché se ne aboli ufficialmente l’uso nel 1865, anche se solo nel 1923 il “Regolamento generale per il servizio d’assistenza degli esposti" dei primo governo Mussolini ne decreto la soppressione definitiva.
Oggi, nonostante la legge italiana riconosca alle madri il diritto di partorire in anonimato negli ospedali senza dover riconoscere il proprio fíglio, c’è chi ha pensato di rispolverare proprio 1’antico método delia mota, non più sotto forma di cilindro rotante ma di culla térmica. Azionabili dall'esterno, queste culle salvavita sono State installate presso istituzioni religiose e ospedali: primo fra tutti, nel 2006, il Policlinico Casilino di Roma, dove però fínora è stato lasciato soltanto un trovatello, di 4 mesi.
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Di esposti è pieno l’Olimpo, prima di tutto quello greco. La dea-madre Rea fu costretta ad allontanare da sé nientemeno che i figli Zeus e Poseidone, per salvarli dalle fauci dei padre Crono, titano col brutto vizio di divorare la prole nel timore che lo avrebbe detronizzato. A causa delle profezie che accompagnarono le loro nascite furono abbandonati anche Edipo (che avrebbe ucciso il padre e sposato la madre) e Paride (causa della distruzione di Troia). E anche i mitici fondatori di Roma. Romolo e Remo, furono affidati al Tevere.
Storici.
Nel Medioevo molti oblati fecero carriera. Come Tommaso d'Aquino (1225- 1274) che a 5 anni fu inviato all'abbazia di Montecassino nel Lazio. Anche il filosofo illuminista d‘Alembert (1717- 1783) deve il suo nome completo (Jean-Baptiste Le Rond d'Alembert) alla cappella di Saint-Jean-le-Rond a Parigi, dove la madre lo abbandonò perché illegittimo. Tra i “famosi" ci fu anche chi ha abbandonato. Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) lasciò nella ruota degli esposti tutti e 5 i suoi figli, senza neppure prendere nota delle loro date di nascita.
Abbandonati, di nome
Innocenti a Firenze, Colombo a Milano. Degli Esposti a Bologna, Casadei in Romagna. Sono solo alcuni dei cognomi la cui origine è legata ai soprannomi che venivano assegnati ai trovatelli quando venivano accolti nelle strutturedi assistenza. Alcuni appellativi erano ispirati proprio ai nomi dei brefotrofi: è il caso per esempio di Innocenti, Degli Innocenti e Nocentini che rimandano al rinascimentale Spedale degli Innocenti di Firenze, oppure di Colombo e Colombini dal simbolo (una colomba) dell'Istituto Santa Caterina della Ruota di Milano.
Affibbiati.
Altri cognomi (Casadei, Dioguardi, Del Signore, Diotallevi) contengono un'invocazione all'assistenza divina e all'accoglienza nella sua “casa". Meno fantasia fu usata a Roma per il cognome Proietti (da proiectus, “gettato"), in Campania per Esposito (da expositum, "esposto) oppure per gli ancora più espliciti Ignoto, Incerto, Abbandonato. Anche il cognome Eco (acronimo di Ex Coelis Oblatus, “donato dal cielo”) deriva dall'epiteto dato ai trovatelli dagli impiegati dello Stato civile.
Essere orfani... a Milano
Cos’hanno in comune tre uomini di successo come Edoardo Bianchi (1865-1946). fondatore dell'omonima fabbrica di biciclette e automobili. Ângelo Rizzoli (1889-1970). fondatore della casa editrice che porta il suo nome, e Leonardo Del Vecchio. patron del fazienda di occhiali Luxottica e oggi il terzo uomo piú ricco d'ltalia? Sono stati tutti etre“martinitt", cioè ex ospiti dei collegio simbolo di Milano per orfani e bambini abbandonati.
Uomini e donne. L'idea di trovare un rifugio per i piccoli senza famiglia della città venne a Gerolamo Emiliani, oggi patrono degli orfani, che nel '500 convinse il signore del Ducato di Milano Francesco Sforza a mettere a disposizione uno spazio nei pressi dell'oratorio di San Martino (diqui il nome dell'istituto) per ospitare orfanelli maschi. Nello stesso periodo Carlo Borromeo fece erigere l‘Ospedale dei poveri mendicanti e vergognosi nell'ex monastero di Santa Maria delll Stella, che dal 700 divenne orfanotrofio femminile (da cui il soprannome di "stelline" dato alle orfane).
E la ruota gira ancora
La prima ruota o “rota" degli esposti fece il suo debutto sul muro esterno dell'ospedale di Marsiglia, in Francia, nel 1188. In Italia fui nstallata 10 anni dopo all'ospedale di Santo Spirito in Sassia a Roma per volere di papa Innocenzo III. «Chiamato anche "tomo", questo meccanismo era nato originariamente nei monasteri di clausura per regolare i rapporti con l'estemo» spiega Flores Reggiani.
Accantonate.
La prima ruota a essere disattivata in Italia fu quella di Ferrara, nel'867.Abolite durante il fascismo, al loro posto ci sono oggi, in alcuni ospedali,speciali culle termiche.
Testo di Manuela Campanelli pubblicato in "Focus Storia Italia", Milano, Italia, maggio 2009, n.31, estratti pp.20-27. Digitalizzati, adattato e illustrato per Leopoldo Costa
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