2.04.2012

PIANTE E ANIMALI NELL'ANTICHITÀ


La moderna archeologia ha contribuito in maniera significativa a far conoscere la vita agricola e il ruolo svolto dagli animali nel mondo antico; dalla più remota antichità gli animali hanno costituito una risorsa alimentare ed hanno fornito materie prime, divenendo essi stessi, più tardi, forza lavoro.
I grossi mammiferi, i cosiddetti pachidermi costituirono la principale base nutrizionale dei cacciatori paleolitici. In un momento avanzato del paleolitico superiore (35.000-10.000 a.C. circa) i gruppi umani della penisola italiana e dell'Europa centro-occidentale iniziarono a cacciare, insieme alla macrofauna terrestre, numerose altre specie, come l'Equus hydruntinus, il Bos primigenius, il Cervus elaphus e il Sus scrofa.
Le prime forme di addomesticamento di animali selvatici come i caprovini, bovini, canidi e suini, legate a processi naturali, sembrano risalire in Occidente al Mesolitico, periodo in cui ancora vigevano la caccia e la raccolta (circa 10.000-5.000 a.C ).
Soltanto con la rivoluzione neolitica e la nascita delle prime comunità agricole, come ha fatto osservare Gordon Childe, l'intervento umano sui meccanismi di riproduzione animale e vegetale arriva a trasformare la fauna a proprio vantaggio; verso la fine di questo periodo (3500 a.C.) compaiono anche in Valle d'Aosta i primi villaggi e le prime manifestazioni agropastorali.
L'occupazione stabile documentata nella conca di Aosta risale agli inizi del III millennio a.C., periodo in cui si registra una progressiva e generale stabilizzazione delle colture agricole.
A partire da questo momento un rilievo sempre maggiore assumono le attività metallurgiche: le innovazioni tecnologiche e i conseguenti mutamenti socio-culturali avvenuti in ambiente egeo-anatolico fanno sentire il proprio peso anche sui meccanismi produttivi delle comunità umane insediate in Occidente, generando nuove possibilità di sviluppo legate all'affermazione delle nuove tecniche agro-pastorali.
Ad Aosta l'area megalitica di Saint-Martin-de-Corléans, nelle prime fasi d'impianto, è espressione di manifestazioni cultuali legate probabilmente a riti e credenze relativi al mondo pastorale e agricolo ricorrenti nel tempo e in molti casi interdipendenti, come dimostrano sia il primitivo allineamento di pali totemici con crani di bovidi combusti alla base (FASE I: 3000-2750 a.C.) che i pozzi votivi con deposizioni di macine e cereali (Fase 3, 2.750-2.700 a.C.) (Mezzena 1997).
Sacrifici di bestiame e offerte di granaglie sono testimonianza di culti propiziatori dei cicli vegetativi e della fertilità della terra e degli animali.
Accanto ai dati di scavo, lo studio paleobotanico ha contribuito a delineare la natura dell'antica copertura vegetale dell'areale di Saint-Martin-de-Corléans e a ricostruirne la fisionomia agro-pastorale.
L'environnement (via Sinaia, Corso Saint-Martin, Area megalitica) era caratterizzato da estese aree prative con presenza di erbacee (cicoriacee, graminacee, rosacee) sottoposte molto probabilmente al pascolo (strati 2A - 4A).
Nel corso dell'età del Bronzo la potenzialità produttiva della regione, basata sullo sfruttamento di agricoltura e pastorizia, era affiancata dalle risorse delle aree montane: esse costituivano un ottimo rifugio per le specie selvatiche da caccia ed offrivano ampi spazi per gli armenti.
Con il passaggio all'età del Bronzo-Ferro si attivava il processo di arroccamento e di occupazione sistematica del territorio: comunità protostoriche legate alla pratica dell'allevamento e all'economia di tipo pastorale occupavano i territori affacciati sul fondovalle a controllo della via di penetrazione lungo il solco vallivo della Dora Baltea.

In questo periodo avveniva anche la risalita nelle valli laterali, finalizzata probabilmente al pascolo d'altura e all'attività mineraria. In vari punti dominanti, in contesti isolati, sono stati ritrovati massi a coppelle, probabili segnalazioni con implicazioni rituali di aree o di sentieri destinati alla pratica dell'alpeggio.
Per quanto riguarda la zootecnia del mondo classico, le principali fonti di informazione sono le opere di Aristotele (Storia degli animali), di Varrone (De rerum natura), di Plinio il Vecchio (Naturalis Historia, libri VIII, IX, X, XI) e di Columella (De re rustica).
Normalmente gli animali erano considerati dagli antichi al servizio dell'uomo: venivano cacciati per il cibo o per la pelle, oppure sacrificati alle divinità e utilizzati per la loro carne, per la loro lana o per i lavori… vel onera subvectando vel arando iuvarent…(Columella, VI, Praefactio); "vi sono due generi di quadrupedi" scrive Columella "alcuni li alleviamo perché ci aiutino nei lavori, …sicut bovem, mulam, equuum, asinum,… altri li teniamo solo per la nostra utilità o per guadagno, o per custodia della casa …ut avem, capellam, suum, canem…".
Da questi brevi brani traspare senz'altro una conoscenza alquanto dettagliata dei concetti di specie, razza e addirittura di ibrido (mulo), fatto che denota un alto grado di evoluzione della ricerca zootecnologica, alla quale si affiancavano anche pratiche di medicina veterinaria.
I Romani hanno sicuramente contribuito a sviluppare l'allevamento nel territorio montano valdostano, ricco di pascoli e di boschi, perfezionando il sistema di canalizzazioni volte ad accrescere il rendimento delle aree prative.
Anche nelle zone più elevate, rivolte a mezzogiorno ed assai confacenti all'agricoltura e alla pastorizia si sono infatti trovate tracce della presenza romana.
Con il potenziamento dell'allevamento e il progressivo disboscamento furono, con molta probabilità, anche praticate forme di transumanza verticale - l'alpeggio - già sperimentato dalle comunità preromane.
Accanto all'allevamento dei bovini, dei suini nelle zone a querceto misto, delle pecore e delle capre, adatte ai luoghi montuosi pieni di roveti, anche la pollicoltura occupava un posto importante nell'economia di un impianto rustico o di una azienda agricola; importanti erano anche i prodotti caseari derivati, la lana e le pelli.
La cacciagione costituiva una forma d'integrazione importante; l'allevamento delle api doveva occupare una parte rilevante nello sfruttamento delle risorse naturali della regione.
Cavalli, muli e asini erano impiegati come animali da traino; i cavalli, inoltre, ricoprivano un ruolo importante nella vita militare o nelle gare di corsa, ma anche nell'usum domesticum. Al pari dei riscontri osteologici, bardature e finimenti documentavano la presenza del cavallo: un frammentario nasale di briglia equina in bronzo è stato ritrovato nell'area urbana di Aosta.
All'interno della città correvano lucertole e topolini; il tessuto urbano e le abitazioni di campagna si popolavano del chiassoso cinguettio dei passeri e del canto degli usignoli.
I dati archeozoologici provengono per lo più dall'area urbana e sono relativi a diverse fasi cronologiche e strutturali. I dati forniti, come normalmente accade negli scavi urbani, non offrono la testimonianza di animali macellati ed utilizzati integralmente, ma soltanto di parti di essi; i rinvenimenti più frequenti sono riferibili ad ossa bovine, normalmente di taglia più piccola rispetto a quelle odierne: predominano le ossa delle parti commestibili delle spalle, delle cosce e delle parti terminali delle zampe.

I bovini venivano macellati all'età canonica di due anni circa o in età molto avanzata, mentre la maggior parte dei suini a due anni.  L'associazione faunistica risultava quindi composta da quelle specie domestiche che da sempre hanno rappresentato il fulcro dell'alimentazione umana e che hanno rivestito nei secoli il ruolo di fonte primaria economico-alimentare della società. Se si considera la percentuale di presenze rinvenute come il campione della realtà socio-economica di Augusta Praetoria nel periodo medio-imperiale, possiamo dedurre la grande importanza rivestita dall'allevamento e principalmente da quello dei bovini, che dovevano costituire la fonte alimentare di base della comunità.
Non mancano zanne di cinghiali, appartenenti anche ad esemplari di grande taglia. Nell'area urbana è stato anche ritrovato un dente d'orso che testimonia la frequenza dell'animale nei boschi della Valle d'Aosta, la cui presenza è peraltro attestata nell'area lucana da Orazio (Odi III, 4); gli orsi, secondo una consuetudine romana, venivano utilizzati nelle venationes o esibiti nel circo e nell'arena.

Scritto per Rosanna Mollo, Disponibile all'indirizzo: http://www.regione.vda.it/territorio/environment/200220/2002-20_11.asp.  Modificati e adattati per essere postato per Leopoldo Costa





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