5.22.2012

MEDIOEVO - CONTADINI A LIBERTÀ LIMITATA


Piccoli proprietari che sceglievano di cedere il proprio fondo, coloni "tributari" tenuti a versare canoni in natura, denaro o servizi, schiavi. L'esistenza dei veri protagonisti dell'epoca feudale, i lavoratori della terra, era sottoposta a complessi vincoli giuridici. Ma come funzionavano? E quando, e perché, fu possibile per loro liberarsi dalle pressioni esercitate dall'aristocrazia terriera?
La società altomedievale, come ebbe a dire lo storico George Duby, era un mondo di contadini. A pan e le piccole élite guerriere e religiose e una distretissima cerchia di commercianti e artigiani, la popolazione viveva di agricoltura. Era quindi legata agli andamenti delle stagioni, alla qualità degli appezzamenti di terreno, agli animali da cortile e a ciò che poteva reperire nei boschi, nei laghi e nei fiumi. Anche le aristocrazie laiche e clericali, che abitavano castelli e abbazie fortificate, vivevano delle rendite e del cibo che ottenevano dalle proprietà fondiarie.
La popolazione contadina risiedeva perlopiú in grandi case rurali, allomo alle quali mameneva un orto, gli animali e qualche albero da fruita. Le case crano in buona parte falle in legno e paglia, e, solo in qualche caso, avevano un cordolo in muratura. Le case contadine potevano trovarsi sparse nella campagna o radunate attorno (in qualche caso addirittura dentro) le mura di un castello. Ma, anche quando si trovavano isolate o relativamente distami, il castello restava il punto di riferimento. E non solo perché entro le sue mura ì contadini si potevano rifugiare alla notizia di una scorreria o al passaggio di un esercito, ma anche perché intorno al castello ruotavano una serie di funzioni e personaggi che erano pane integrante della vita sociale e civile dell'epoca.

Dentro le mura

Nel castello c'erano gli artigiani, i lavoratori delle pelli. del metallo, dei tessuti, delle ceramiche. Accanto a esso si teneva il mercato dove poter scambiare i prodotti agricoli e acquistare o vendere animali; presso di esso il signore del luogo o un suo preposto, amministravano la giustizia; nel castello sorgeva la chiesa in cui si pregava e si ascollavano sermoni e racconti, dove si era battezzati e sepolti. Nei dintorni si trovava il mulino e, sempre a partire dal castello, si dipartiva l'intreccio di sentieri e strade che garantivano i trasporti, le conoscenze, i rapporti personali.
I contadini che vivevano in questi piccoli borghi erano tuttavia di diversa e varia condizione giuridica. Si poteva trattare di servi, di piccoli proprietari terrieri (allodieri), o dicontadini liberi con contratti in enfiteusi (cioè coltivatori che si stabilivano sui terreni del signore in cambio di un canone). Poteva accadere quindi che que ti contadini -tanto differenti per diritti individuali - vivessero l'uno accanto all'anno e che, per gran parte dell'anno, coltivassero le stesse terre, frequentassero gli stessi luoghi, pagassero dazi e pedaggi allo stesso signore.

Proprietari e servi

Eppure, come si diceva, avevano diritti e obblighi assai diversi. Alcuni erano contadini liberi che vivevano nella loro casa rurale e coltivavano i propri terreni: gli "allodicri" (allodio è un termine germanico che indica la piena proprietà). Altri invece erano servi, discendenti di famiglie di schiavi che il signore del luogo aveva insediato in mansi (cioè in case rurali) "servili", sotto la sua diretta proprietà. Questi ultimi avevano bisogno del permesso del proprietario perfino per sposarsi; il loro padrone poteva mandare i loro figli a lavorare ovunque avesse voluto, magari in fondi lontani decine di chilometri e piú; inoltre, il signore avrebbe potulo reclamare, al momento della sua morte, buona pane dei beni (e del denaro) messi insieme dal servo.
Tra questi due estremi - allodio e schiavitú - esistevano condizioni intermedie, che segnavano sostanzialmente la gran pane dei contadini. Questi erano i "contadini tributari", cioè coloni che erano obbligati a fornire una serie di prestazioni lavorative insieme al versamento di canoni (in cibo, piuttostoche in denaro) ed erano sottoposti all'autorità giuridica e amministrativa del proprietario del latifondo. Una condizione ambigua, dalla quale scaturi presto la "servitú della gleba". Infatti, dal 1000 in poi, in larga pane d'Europa, la multiforme varietà di condizioni giuridiche individuali di cui si è appena parlato perse compattezza. I contadini divennero una massa indistinta di famiglie legate con una serie di vincoli alla terra che erano tenuti a lavorare. Tale condizione è stata definita dagli storici, con una felice anche se frettolosa sintesi, servitú della gleba.

Legati alla terra

La servitú della gleba consisteva nell'obbligo, per il contadino, di restare a vivere e a lavorare in uno specifico appezzamento di terreno. Non poteva cambiare la propria vita, non poteva emigrare, spostarsi, traslocare. Non poteva trasferirsi in città, non poteva andare a lavorare per un altro proprietario, che magari cercava di attrarre lavoratori creando una zona franca da esazioni e obblighi per favorire il popolamento di alcuni territori; non poteva nemmeno sperare di diventare un pioniere, impegnandosi in una delle opere di dissodamento che iniziavano a essere sempre piú diffuse, proprio dopo il Mille, per poter ottenere nuovi spazi coltivabili.
Anche se sopraffatti dagli obblighi lavorativi, dalle tasse e dai canoni da versare, questi "servi della gleba" erano obbligati quindi a restare legati al terreno dove si trovavano. Ed era cosí anche per i loro discendenti. Quando fuggivano, subivano processi e persecuzioni che li costringevano a reinsediarsi nel luogo d'origine. Il proprietario terriero non poteva permettersi di perdere forza lavoro. In una Europa scarsamente popolata, il "dominus" non aveva alcuna intenzione dì lasciare andare via uomini che lavorassero per lui.
Tuttavia, i servi della gleba non erano degli schiavi. La schiavitú, com'era intesa in epoca romana e tardo-antica, con l'età carolingia di fatto andava scomparendo. Lo schiavo del mondo romano era una macchina da lavoro priva di diritti e di condizione giuridica, sfruttata nelle grandi ville produttive che fornivano cibo e prodotti per la complessa società imperiale. Eppure, già in età tardo-antica, la loro presenza era divenuta minoritaria nelle ville agricole. Molto spesso queste erano mandate avanti da contadini liberi sottoposti agli ordini di un fattore, un uomo di fiducia dei latifondisti che risiedevano nelle grandi città.
I servi medievali erano invece contadini la cui personalità giuridica esisteva, seppur stretta da alcuni obblighi definiti appunto servili e da una serie di limitazioni (proprietà, eredità, matrimonio). Essi venivano usati, nella prima fase del Medioevo, per lavorare nella "Pars Dominica" della proprietà fondiaria di un signore. Le proprietà terriere, infatti, erano divise in due, entrambe appartenenti allo stesso feudatario (che poteva essere un singolo nobile, ma anche un ente religioso, come per esempio un'abbazia o un monastero).
La "Pars Dominica" era costituita da terreni coltivati direttamente dai suoi servi. mentre i terreni restanti. la "Pars Massaricia", erano affidati a coloni (liberi e non) che li coltivavano in cambio di canoni in cibo o denaro. Questi contadini "tributari" del signore gli dovevano - oltre al denaro o ai prodotti agricoli - giornate di lavoro (in genere uno o due giorni a settimana) durante le quali essi si impegnavano, accanto ai servi, a effettuare lavori agricoli nella "Pars Dominica"; erano inoltre tenuti a prestazioni straordinarie per opere di sistemazione idraulica, strade, ponti e, ovviamente, per la costruzione del castello (o per la fortificazione dell'abbazia).

In dono dal re

I grandi possidenti terrieri costituivano l'ossatura principale della società medievale (strutturata secondo il sistema feudale), nella quale il feudo fungeva da elemento base. In special modo nell'età carolingia, il re (o l'imperatore) usava concedere, come ricompensa per servigi di natura militare e politica, territori su cui esercitare una serie di diritti di sfruttamento: i feudi. I beneficiati rendevano omaggio al monarca e s'impegnavano a restare suoi vassalli. ma potevano concedere a loro volta parte dei propri feudi a vassalli subalterni. Ciò poteva portare alla creazione di posedimenti talvolta piú ricchi e vasti di quelli rimasti nel demanio diretto del re. Con il "Capitolare di Kiersy", firmato da Carlo il Calvo nell'anno 877, tali concessioni, inizialmente vitalizie e quindi temporance, divennero ereditarie, determinando - di fatto - un cambiamento nei rapporti tra Stato e grandi feudatari, che divennero veri e propri centri di potere autonomo, con subalterni solo a essi soggetti.
Il ceto dei grandi feudatari non era solo costituito dai piú importanti collaboratori del re o da condottieri che avevano combattuto al suo fianco, ma anche dalle alte aristocrazie religiose: le abbazie, i vescovi, i monasteri. Tuttavia, i grandi feudi non vennero a crearsi solo per mezzo di concessioni "dall'alto"; i lasciti testamentari e l'antica tendenza dei contadini che avevano piccole proprietà ad affidarsi a proprietari più potenti per mettersi sotto la loro protezione (militare, politica ed economica) contribuirono in maniera determinante all'estensione - sopratttuto nel caso degli enti religiosi - dei possedimenti fondiari.
Tale processo, già presente in età tardo-antica, ebbe come conseguenza il diffondersi della servitú della gleba, in quanto rese sempre piú impercettibile la distinzione tra servi e contadini allodieri e tributari. Questi ultimi, vincolati in un primo momento solo da limitate "corvée", si videro via via sempre piú ancorati all'appezzamento di terreno che era stato un tempo di loro proprietà e che liberamente avevano ceduto al feudatario. Perché lo facevano? Perché i contadini preferivano talvolta retrocedere come condizione giuridica, avvicinandosi a quella dei servi piuttosto che mantenersi indipendenti? Occorre innanzitutto considerare che il grande feudatario metteva a disposizione una serie di servizi che per la primitiva società medievale erano fondamentali: strade, ponti, guadi, approdi lungo i fiumi navigabili, e poi mulini nei quali macinare cereali, magazzini a cui accedere nei periodi di carestia, chiese rustiche e - soprattutto - il castello.

Una scelta "dipendente"

Assai spesso il contadino allodiero (il piccolo proprietario libero) aveva ceduto il proprio terreno al feudatario che glielo aveva riconsegnato nella qualità di "tributario", cioè attraverso la stipula di un contratto privato, che peggiorava la sua condizione, ma ne garantiva comunque l'ereditarietà, ciò che era piú essenziale per il contadino. Tale garanzia avrebbe permesso ai figli di poter restare sempre sullo stesso terreno e nella stessa casa e quindi apparentemente nulla sarebbe mutato, tranne che per due aspetti: il contadino, d'ora in avanti, sarebbe stato obbligato a prestare giornate di lavoro al servizio del proprietario, cosa che però, in casi di emergenza (guerre, inondazioni, carestie) era già tenuto a fare anche come contadino libero.
Un secondo aspetto consisteva nel falla che diventando "dipendente" avrebbe evitato gli obblighi militari a cui erano invece tenuti i contadini proprietari, e soprattutto alcune fiscalità straordinarie imposte dai monarchi. Si semplificava anche la situazione nel campo della giustizia, perché ora il contadino avrebbe potuto rivolgersi direttamente al feudatario per reclami e pendenze. Tali trasformazioni però, come si diceva, avvicinarono pericolosamente il contadino libero, in possesso di un semplice contratto in enfiteusi, alla condizione servile. Tutto ciò, allo stesso tempo, permise alla condizione servile di emanciparsi almeno in parte, trasformandosi in condizione di semilibertà, se non in vero e proprio affrancamento.
L'aumento dei contadini tributari fece infatti diminuire la necessità di avere a disposizione servi per i propri possessi fondiari. La "Pars Dominica" si restrinse, la "Pars Massaricia" s'ingrandi. Per il signore cominciò a risultare pio conveniente avere contadini che lavoravano per lui in cambio di terreni invece di terreni gestili direttamente da fattori e lavorati dai propri schiavi, che egli doveva sostenere dal punto di vista alimentare e fiscale.
I servi furono progressivamente insediati anch'essi nella "Pars Massaricia", accanto ai contadini ingenui (nati liberi). Accasati, con le famiglie, nei mansi, iniziarono ad acquisire un certo livello di indipendenza, sia dal punto di vista delle scelte agricole che della propria esistenza. La distanza del "dominus" dai terreni, e la complessità dei vincoli giuridici che intrecciava i diversi fondi, consenti un ulteriore passo in avanti, facendo diminuire i propri obblighi servili, fino ad annullarli.

Signori al potere

Servi della gleba erano quindi in primo luogo i "servi casali", cioè forniti di un manso in cui vivere. Poi erano tali i contadini liberi che avevano accolto gli obblighi servi1i accettando di coltivare terre servili. A questi andavano aggiunti i coloni liberi, che avevano stipulato contratti privati col latifondista, in genere contratti ereditari, attraverso i quali ottenevano in concessione terreni a cui finivano per restare vincolati. Anche dal punto di vista fiscale, progressivamente, avvenne lIna equiparazione:le esazioni furono sempre piú legate alla residenza e non alla condizione dei singoli. Al proprietario, ormai. non interessava l'origine delle famiglie contadine che lavoravano i suoi terreni. lnteressava che li continuassero a lavorare e pagassero dazi e canoni.
I possessi feudali si stavano trasformando in vere e proprie signorie territoriali. Come ha mostrato Marc Bloch, a favorire tale trasformazione fu anche la concessione da parte dei monarchi di "immunità", che consistevano nella possibilità, per i grandi feudatari, di non essere sottoposti all'autorità pubblica e di essere delegati a svolgere attività amministrative e giudiziarie. Grazie a queste immunità, i signori ebbero il potere di imporre dazi e pedaggi e di amministrare persino popolazioni che non erano sotto la propria diretta giurisdizione, ma che gravitavano sul proprio feudo. il proprietario divenne signore di chiunque vivesse all'ombra del suo castello. Questo processo uniformò definitivamente i lavoratori rurali dei vari territori. ché tutti dovevano subire- indifferentemente - la stessa pressione fiscale e prestare le stesse "corvée".

La legge dell'imperatore

Il sistema feudale, in questo modo, entrò presto in rotta di collisione con una serie di poteri vecchi e nuovi, oltre che con gli stessi contadini. I vassalli subalterni non sopportavano che le proprie cariche fossero vitalizie, mentre quelle dei grandi feudatari erano ereditarie. i monarchi, quasi sempre meno ricchi in uomini e in rendite rispetto ai grandi feudatari, cercarono di limitarne il potere. Anche i centri urbani, che si stava no sviluppando grazie al commercio, si sentivano soffocati dalle limitazioni nella circolazione lungo le strade e dai pedaggi esercitati dalle aristocrazie terriere.
Infine, c'erano i contadini, cui erano richieste in misura sempre maggiore prestazioni straordinarie, aggiuntive rispetto al canone e alle "corvée" (le "angariae" da cui, non a caso, il termine angherie). Un primo duro colpo al sistema feudale fu inferto dalla promulgazione della "Constitutio de Feudis" da parte dell'imperatore Corrado II, nel 1037. Tale legge estese l'ereditarietà dei possessi fondiari ai vassalli minori, che, finalmente, si liberarono dalla soggezione ai grandi proprietari.
I vassalli minori erano insorti nel 1035 - appoggiali dall'imperatore Corrado II - contro il vescovo di Milano, Ariperto, e i grandi signori feudali. Uno degli effetti della nuova legge fu la frammentazione del possesso ereditario e, finalmente, la sua commerciabilità. Molti dei vassalli vendettero i propri terreni investendo il denaro nei centri urbani, a loro volta liberati dall'oppressiva presenza dei grandi feudi che circondavano il suburbio. La pacificazione di Milano del 1044, che segui alla promulgazione della "Constitutio" di Corrado II, è infatti considerata la premessa per la nascita del Libero Comune, che verrà poi formalizzato rurali che dettero poi vita a ulteriori agglomerati comunali.

L'abolizione dei vincoli

Divenute comunità autonome, fu per loro piú facile liberarsi degli antichi obblighi. Le città, infatti, divennero veri e propri centri di affrancamento per questi semiliberi, non solo dal punto di vista sociale, ma anche da quello strettamente giuridico, Talvolta i contadini inurbati divenivano liberi di fatto, poiché potevano sfuggire alle rivendicazioni del signore terriero; in altri casi tale affrancamento avveniva pcr via di diritto, poiché la condizione urbana portava dopo una o due generazioni al massimo a indebolire - fino all'annullamento - i vincoli della condizione servile, i quali esprimendosi come obblighi di natura rurale non avevano alcun senso in città.
Con la nascita dei Comuni si assistette quindi a un vero e proprio movimento di disgregazione dei vincoli servili che investi, con diverse velocità, l'intera Europa. Di esso approfittarono - a seconda delle differenti arce geografiche - i poteri centrali nazionali, cioè le monarchie, e, naturalmente, i centri urbani mercantili, cioè i Liberi Comuni. Ambedue si appoggiarono sulle masse contadine che anelavano alla libertà per emarginare i grandi signori feudali che avevano segnato, nel bene e nel male, la storia dell'Occidente medievale, L'Europa cupamente rurale descritta dai grandi storici del Medioevo stava ormai per tramontare definitivamente.

Per Chiara Mercuri, estratti dalla rivista "Medioevo", anno XV, n.9, settembre 2011. Compilati, digitati e adattati per essere postato per Leopoldo Costa.




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