8.26.2012

LA VITA NOTTURNA A ROMA: UN INFERNO

Di notte calava una completa oscurità ma si accendeva la vita assai intensa di un 'umanità molto varia: pompieri-poliziotti furfanti, mercanti e tiratardi d'ogni specie animavano una città in larga parte insonne.

La casa della venere in Conchiglia
Capitale di un grande e potente Impero, Roma vide crescere progressivamente la sua popolazione a più di un milione di abitanti. La maggior parte di questi viveva nei piccoli e disagevoli appartamenti delle insulae, gli enormi condomini cittadini a più piani che erano costantemente soggetti a crolli e incendi. Oppure si arrangiava alla meglio, dormendo nei retrobottega o nei soppalchi ricavati in ambienti che di giorno erano destinati ad altre attività. Solo pochi privilegiati potevano permettersi il lusso di risiedere in grandi e comode case provviste di cortili e giardini. Le strade della città, molte delle quali strette e in forte pendenza, sporche e maleodoranti, durante il giorno pullulavano di gente. Di notte, queste stesse vie sprofondavano in una completa oscurità, non esistendo un servizio di illuminazione pubblica.
Ciò non impediva però che a Roma si svolgesse una vita notturna intensa. Così intensa che molti dei suoi abitanti, pur volendo riposare, non riuscivano a chiudere occhio. Tra chi non dormiva c'erano coloro che vegliavano per dovere, con il compito di garantire la sicurezza dei cittadini, sia contro i malviventi che approfittavano del buio per compiere furti e rapine, sia contro il rischio sempre pres nte di incendi. Durante la Repubblica, i "triumviri notturni", insieme agli edili e ai tribuni della plebe, erano incaricati di gestire lo spegnimento degli incendi che scoppiavano di notte, mentre il lavoro concreto di estinzione era svolto sempre da gruppi di schiavi. Con il passare del tempo tale organizzazione si rivelò insufficient.

le pattuglie notturne

Per risolvere questa ormai conclamata emergenza di carattere urbano, nel 6 d.C. l'imperatore Augusto decretò la formazione del corpo dei vigiles, pattuglie paramilitari il cui compito principale era prevenire e all'occorrenza sedare gli incendi. A questo scopo utilizzavano secchi, asce, picconi, pompe antincendio, ramponi, ganci e coperte imbevute di acqua e aceto per soffocare le fiamme. Il loro arrivo era preceduto da quello di un bucinator, che con una tromba (bucina) dava l'allarme a tutto il quartiere. Il corpo dei vigiles era formato da sette coorti di circa mille effettivi ciascuna, suddivise ognuna in sette centurie. Il comando generale era affidato a un cavaliere, il prefetto dei vigiles, all'interno di un'organizzazione gerarchica analoga a quella delle legioni.
I vigiles tuttavia non erano uomini liberi, perché il loro lavoro non era con iderato onorevole per un cittadino; d'altro canto, poiché non era considerato prudente armare un corpo paramilitare di schiavi, i decise di reclutare Iiberti (ex schiavi liberati). Le loro funzioni andavano oltre l'estinzione degli incendi: si occupavano anche della vigilanza notturna. Si trattava insomma di una milizia urbana con funzioni miste di corpo di pompieri e polizia. L'insicurezza notturna fu una preoccupazione costa nte in epoca imperiale, nonostante la presenza dei vigiles per le strade, che forse erano più occupati a lottare contro gli incendi che a impedire i furti e i crimini. La giurisprudenza stabilì norme che punivano in modo più severo i delitti commessi di notte.

Un rumore insopportabile 

Le notti a Roma erano tutt'altro che silenziose. Questo era dovuto in buona parte a una legge promulgata nel 45 a.C. da Giulio Cesare, la Lex Julia Municipalis,che,al fine di decongestionare il traffico cittadino, proibiva tassativamente dall'alba al tramonto la circolazione dei carri che trasportavano merci. Il passaggio in città nelle ore diurne era consentito principalmente a quattro tipologie di carri: quelli destinati al trasporto a Roma delle vestali e dei sacerdoti nei giorni fissati per le cerimonie del culto pubblico; quelli per la celebrazione dei trionfi militari; quelli per le feste connesse ai giochi cittadini e infine quelli per il trasporto di materiali da demolizione o da costruzione per gli edifici religiosi oppure per l'esecuzione di lavori pubblici.
Tutti i rifornimenti che entravano in cittàcon trasporto su ruote dovevano circolare dopo l'ora decima (le tre del pomeriggio in inverno, le cinque d'estate). Stando coslle cose, in piena notte le ruote dei carri con i loro cerchioni di ferro producevano un rumore infernale, girando senza sosta per le strade di pietra della città. Queste ultime risuonavano del trambusto del carico-scarico delle mercanzie e delle grida dei conducenti dei mezzi.ll tutto per la disperazione degli abitanti, che cercavano invano di prendere sonno. Cosl il poeta Marco Valerio Marziale nel I secolo d. C. descrive il silenzio della dimora sul colle Gianicolo nella quale il suo amico Giulio Marziale, lontano dal rumoroso centro urbano, viveva serenamente: "Da lassù... non si sente il rumore delle vetture ...le ruote non sono moleste al placido sonno, che né lavoce dei barcaioli né le grida dei facchini possono interrompere".

Funerali notturni

Un'altra attività consentita solo di notte e regolamentata dalLa Lex Julia Municipalis era il trasporto della spazzatura fuori dalle strade della città su 'carri per l'immondizia  trainati da asini o da buoi. È molto probabile che, insieme ai rifiuti, talvolta vi si caricassero anche i cadaveri di mendicanti morti per le strade o quelli di schiavi abbandonati fuori dalle case padronali. La destinazione di questi corpi erano cimiteri comuni come quello che si estendeva, vastissimo, sul colle Esquilino, prima che Mecenate, l'amico e collaboratore di Augusto, vi edificasse la sua ricca villa cittadina. I funerali dei benestanti, a cui partecipavano anche prefiche e musici, solitamente si celebravano di giorno; quelli dei bambini e della gente umile invece, si svolgevano perlopiù di notte. Era allora che si portavano i corpi fuori dalla città su portantine o in bare prese a nolo. Secondo Servio, un grammatico del IV secolo, la parola latina per indicare il funerale funus deriverebbe dal termine funale, che indicava la fiaccola che di notte guidava il corteo funebre.

I lamenti dei poeti 

La notti brave degli imperatori Caligola
A suo dire, Marziale non riusciva a prendere sonno neanche molto tardi, perché appena sorgeva il sole si sentivano le grida dei maestri che insegnavano per la strada e si udivano i rumori prodotti dalle attività artigiane. "Cos'hai a che fare con mc, scellerato maestro, tu che sei detestato da bambini e fanciulle? I crestati galli non hanno ancora rotto il silenzio e già tu sussurri feroce e fai risuonare le bacchettate. Così esasperante il metallo riecheggia sull'incudine percossa ... Qui, tutto il vicinato, vorrebbe-non tutta la notte -dormire: infatti stare svegli è piacevole, ma farlo per !'intera nott è faticoso...". All'alba poi rientravano dalle cene, tra gli schiamazzi, gli ubriachi; le serate infatti si prolungavano con simposi in cui scorrevano fiumi di vino fino a tarda notte: "C'è gente che scambia la notte per il giorno e non apre gli occhi appesantiti dalla baldoria della sera precedente prima che si faccia buio ... Chiedi come si possa diventare così depravati da aborrire il giorno e trasferire nella notte tutta la propria vita? Tutti i vizi sono contro natura e vengono meno all'ordine prestabilito", scriveva Seneca al suo discepolo Lucilio. Anche il poeta Giovenale si lamentava: "Moltissimi malati qui a Roma muoiono d'insonnia. Quale appartamento preso in affitto permette di addormentarsi? A Roma dormire costa un occhio della testa.E da li inizia la malattia: il passaggio dei carri per la stretta curvatura dei vicoli e il chiasso delle bestie da soma...' . Marziale, da parte sua, dichiarava disperatamente: " A premio dei miei libretti... cosa dunque ardentemente desidero, mi chiedi? Dormire'.

Di Elena Pujol, estratti dalla rivista "Storica", anno 4 n. 43 settembre 2012. Compilati, digitati e adattati per essere postato per Leopoldo Costa.



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