8.22.2012

TRANSFUSIONI, UNA STORIA SCRITTA CON IL SANGUE


L’impresa riuscì a un ex idraulico parigino: uno scambio ematico da agnello a uomo. La comunità scientifica per screditarlo organizzò un complotto, con un omicidio.



Delle prime trasfusioni di sangue si parla poco, è un po’ come se ci fosse qualcosa di misterioso anche perché non si può dire che sia stata una bella storia, almeno all’inizio. I primi che provarono a cimentarsi con le trasfusioni lo fecero da un animale all’altro. Poi qualcuno provò a trasfondere uomini con il sangue di animali, di solito lo si faceva col sangue di un agnello che era considerato l’animale più docile, ma i pazienti morivano quasi tutti. Dopo le prime esperienze la pratica di trasfondere fu bandita in quasi tutti i Paesi d’Europa. Troppo pericoloso?
Certo, ma c’erano altre pratiche altrettanto pericolose a quei tempi: tutta la chirurgia per esempio (col taglio cesareo—che era senza anestesia — la mamma moriva quasi sempre e il bambino aveva pochissime probabilità di sopravvivere). Ma allora perché si vietavano per legge le trasfusioni e non le pratiche chirurgiche? Doveva esserci un’altra ragione, e infatti c’era.
Holly Tucker, che insegna Storia della medicina a Vanderbilt, Tennessee, nel suo bellissimo libro "Blood Work. A Tale of Murder and Medicine in the Scientific Revolution", un po’ medicina e un po’ giallo, fa rivivere l’emozione e le ansie di quei momenti e gli intrighi di chi allora come oggi era nemico della scienza.
Siamo alla metà del Seicento, solo pochi anni prima a Londra William Harvey — che aveva studiato a Padova alla scuola di Fabrizio da Acquapendente e Casserio —aveva capito che il sangue circola. Queste conoscenze cambiarono radicalmente il modo di ragionare dei medici. In Inghilterra, per esempio, certi dottori avevano l’idea che un vecchio cane lo si potesse ringiovanire col sangue di uno giovane.
Così i medici più illuminati della British Royal Society e dell’Académie Française fecero a gara a chi sarebbe riuscito per primo a trasfondere sangue da un animale all’altro. Ma Jean-Baptiste Denis a Parigi colse tutti di sorpresa: un giorno di dicembre del freddissimo inverno del 1669 provò a trasfondere un bambino di 15 anni con sangue di un agnello. Il bambino sopravvisse, fra l’incredulità di tutti, e Denis, inebriato dal successo, volle riprovarci.
Questa volta il «paziente» fu un malato di mente, Antoine Mauroy, che Denis, a detta dei bene informati, avrebbe trasfuso per ben tre volte con il sangue di un vitello. Alla fine Mauroy morì e Denis fu accusato dai professori della facoltà di Medicina di averlo ucciso.
Il processo fece scalpore e tenne tutta Parigi con il fiato sospeso. Denis—che prima
di laurearsi in medicina faceva l’idraulico ed era esperto di pompe d’acqua — fu incarcerato e avrebbe dovuto essere messo a morte al Grand Châtelet, la prigione più nota di Parigi, che era anche sede dell’Alta Corte. Gli fu concesso di difendersi e lo fece benissimo. Spiegò al giudice che prima di morire Antoine Mauroy era già stato trasfuso due volte senza problemi.
La terza trasfusione, in conseguenza della quale, secondo l’accusa, sarebbe morto non riuscirono nemmeno a farla, perché il malato aveva continue convulsioni. Denis si fece difendere da Ormesson, un grande avvocato figlio d’arte. Fu proprio lui a scoprire che Mauroy era stato avvelenato con l’arsenico. Ma chi poteva essere l’assassino?
Per una serie di ragioni Ormesson sospettava della moglie di Mauroy, Perrine. Fu il gatto di casa a smascherare Perrine: era morto negli stessi giorni diMauroy, avvelenato dalla «polvere» che la moglie scioglieva ogni sera nella minestra di Antoine.
Denis fu scagionatoma il giudice Defita, che pure riconobbe Perrine responsabile della morte del marito, scrisse alla fine della sentenza: «Nessuna trasfusione si potrà più praticare a nessun essere umano senza l’approvazione dei dottori della facoltà di Medicina di Parigi», proprio quelli che volevano screditare Denis emettere fifine alla pratica delle trasfusioni. Quei medici avevano offerto denaro e persino dell’oro a Perrine per dichiarare che il marito era morto durante la terza trasfusione.
A Denis però l’assoluzione non bastava. Si appellò alla Corte Suprema perché togliesse dalla sentenza di Châtelet la clausola che vincolava le trasfusioni al parere dei professori dell’università. La Corte Suprema si riunì il 28 novembre 1669: c’erano principi, duchi e persino l’arcivescovo. Tutti i membri d’ufficio della Corte.
Quella di Denis fu un’ingenuità, il verdetto era già scritto: trasfondere sangue voleva dire avvalorare le idee di Harvey, mai e poi mai la cattolicissima Francia avrebbe potuto accettare di seguire le teorie di quei protestanti di là della Manica. E la Corte Suprema decretò che non c’era ragione di modificare la sentenza di Châtelet.
Per 150 anni trasfusioni non se ne fecero più, in Francia ma nemmeno in Inghilterra e in Italia. A mettere fine alla pratica di trasfondere non furono considerazioni di scienza—per esempio se le trasfusioni fossero sicure o no—e nemmeno si discuteva se il sangue potesse curare, ed eventualmente quali malattie. Il dibattito era tutto centrato sulle implicazioni morali e religiose di mescolare sangue degli animali con quello dell’uomo.
I detrattori consideravano medici e scienziati come se fossero alchimisti, quelli che volevano tramutare metalli poveri in oro. «Con le trasfusioni— dicevano—quei medici ci vogliono cambiare la personalità e chissà che un cane trasfuso con sangue umano non si metta a parlare. Fermiamoli per carità».
Senza trasfusioni oggi non si potrebbero guarire i traumi della strada e sul lavoro, non ci sarebbe la grande chirurgia, non si farebbero i trapianti, non si potrebbero curare le leucemie e i linfomi e tante malattie rare dei bambini. Quattrocento anni fa tanti pensavano che la trasfusione avrebbe fatto assumere all’uomo i comportamenti dell’animale che si usava come donatore.
Oggi tanti pensano che la ricerca con cellule staminali potrebbe dare origine a creature chimeriche metà uomo e metà topo, per esempio. E non è gente qualsiasi a pensarla così, l’ha detto anche Bush nel 2006 nel discorso sullo Stato dell’Unione. «Pochi mesi dopo — fa notare Holly Tucker alla fine del suo libro — Barbara Bush ha avuto bisogno di un intervento per sostituire una valvola del cuore. Gliel’hanno fatto, è andato tutto bene. La valvola era di maiale.

Di Giuseppe Remuzzi, estratti dalla rivista "La Lettura ", inserto "Corriere della Sera" 19 de Agosto 2012. Compilati, digitati e adattati per essere postato per Leopoldo Costa.

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