Lavora sotto il sole, curvo sulla terra: a un trato si fenna. Là, dove sta scavando, sono riaffiorati alcuni frammenti di ceramica, qualche osso e pezzetti di carbone. Poca cosa ma non per lui, il nostro archeologo, che adesso sa di trovarsi su un villaggio abbandonato dell'anno Mille (glielo dice il tipo di ceramica), forse nel luogo dove crepitava il focolare di una povera famiglia di contadini (come suggeriscono i carboni). Le brocche rotte e gli avanzi della cena gettati dalle massaie medioevali. le tracce di antichi muri e i resti degli attrezzi da lavoro bastano a guidarlo nel definire le abitudini del1'epoca.
UN PUZZLE DA RICOSTRUIRE.
Senza l'archeologia, il periodo a cavallo tra la fine del X e l'inizio del XII secolo sarebbe poco più che un elenco di castelli, paesi e proprietà feudali tramandato nei documenti. "Si tratta di citazioni laconiche, inerenti le proprietà della Chiesa o di un dato signore nei casi più fortunati. L'archeologia, invece, permette di conoscere argomenti di cui le fonti parlano raramente: la struttura dei villaggi e delle case, le occupazioni della gente comune e persino gli oggetti usati nella vita quotidiana" spiega Marco Milanese, docente di Archeologia alle università di Sassari e di Pisa.
Sappiamo così che signori e vescovi, nei loro palazzi, avevano a disposizione bicchieri di vetro, piatti e suppellettili in ceramica colorata, tutte mercanzie arriva te dall'Oriente nelle città portuali come Genova. Pisa, Venezia e Amalfi. Brocche, tegami, teglie e scodelle delle comuni casalinghe del Mille erano invece terracotte molto semplici e non decorate:l'equivalente antico dei servizi dell'lkea. Tra i poveri andavano per la maggiore le ciotole e i piatti in legno, un materiale usato dappertutto, come la plastica dei nostri giorni. I contadini lo impiegavano per accendere il fuoco, riscaldarsi, far luce e, se non avevano a disposizione altri materiali, anche per costruirsi le case.
Il bosco, che di solito si estendeva tutto intorno al villaggio, alimentava molte delle necessità quotidiane: muschio e foglie fungevano da materassi, le carbonaie producevano il combustibile per le fucine dei fabbri e i rampicanti intrecciati diventavano corde. La cenere dei rami bruciati serviva a fabbricare vetro e sapone, la corteccia riforniva di tannino i conciatori di pelli.
DIETA CLASSISTA.
Del bosco, gli uomini sfruttavano tutto: il signore cacciava cinghiali, orsi e cervi, mentre i contadini puntavano alle prede più piccole. "Lo studio dei semi e delle ossa degli animali rinvenuti sugli scavi ciracconta che cosa mangiavano gli uomini nel Mille" spiega Milanese. "La presenza dei vinaccioli di vite, per esempio, conferma che c'era anche chi beveva vino". Perlo più si trattava di privilegiati, signori che potevano imbandire la propria tavola con selvaggina cotta alla brace, uova e pesce accompagnati da pane bianco. Le mogli dei contadini invece impastavano la pagnotta con farina di segale e spesso, per risparmiare sull'affitto dovuto al signore per l'uso del forno, scodellavano per pranzo solo farinata.
Al menù potevano aggiungere anche fave, lattuga, cavoli e piselli, frutti dell'orto coltivaco dai loro mariti. Nei villaggi,infatti, c'erano sì fabbri, cardatori di lana e carpentieri, ma la maggior parte della popolazione lavorava nei campi. Brache e saio fino a metà gamba, il contadino strappava le erbacce, arava, concimava con lo sterco secco di cavallo raccolto nei dintorni, piantava legumi e cereali, tagliava le spighe con la falce. Tutti i giorni, tutto l'anno, a rotazione erano queste le sue occupazioni, scandite dal canto del gallo al mattino, dal calare del sole la sera e dalle campane suonate dai monaci durame il giorno.
TRIBUTI.
Fossero servi della gleba o fittavoli più o meno poveri, la loro condizione cambiava poco agli occhi del signore. che li considerava rutti sudditi a cui richiedere corvée e tributi in natura: "In giorni fissi i si vedeva portare al sergente del signore ara un po' di denaro ora covoni raccolti sui loro campi, palli della loro aia, dolci di cera sottratta ai loro alveari o a quelli della vicina foresta. In altri momenti, faticavano sui terreni arativio sui prati padronali o ancora eccoli trasportare per conto del padrone botti di vino o sacchi di grano. Le mura o i fossati del castello venivano riparati con il sudore delle loro braccia" ha serino il medievista Mare Bloch.
SULLA TORRE.
"Il Mille è stato un momemo critico della Storia. un periodo di transizione tra l'Alto e il Basso Medioevo caratterizzato da un importante cambiamento sociale: da proprietari terrieri i signori si trasformarono anche in amministratori della giustizia del territorio da loro controllato. In Italia e in Europa si diffuse in quel momento un elemento chiave del paesaggio medioevale: il castello in pietra" dice Milanese. Niente a che vedere con i manieri dei prìncipi delle favole: nonostante la loro imponenza, i castelli dell'XI secolo erano privi di ogni comfort e servivano più che altro a dare rifugio, in caso di necessità, agli abitanti del villaggio.
Nella torre, che si ergeva su un'altura, di solito viveva il signore. La calca a tavola era la prova tangibile del suo rango: vi si riunivano moglie, figli, paggi, scudieri, ospiti e magari anche quei giullari che giravano di castello in castello per animarne le serate. Cetto l'aria doveva essere piuttosto pesante, se è vero che all'epoca persino i monaci più igienisti facevano il bagno solo un paio di volte l'anno. Forse per questo i nobili passavano la maggior parte del loro tempo all'aperto, a cacciare a cavallo o col falcone e a guardare tornei. Alcuni di loro, particolarmente facinorosi o desiderosi di facili guadagni. si dedicavano con costanza a taglieggiare i viandanti, accampando pedaggi e diritti di passo o depredandoli dei loro beni. Come se i viaggiatori non avessero già abbastanza problemi! Senza cartelli, senza mappe e persino senza bussola (arrivata in Occidente solo nel XII secolo) c'era bisogna di un gran fegato (e di senso dell'orientamento) per andarsene in giro.
SPOSTAMENTI DIFFICILI.
I rischi? Smarrirsi lungo strade malridotte, attraversare ponti pericolanti su fiumi in piena, incontrare briganti di ogni specie. In queste condizioni, i carri erano poco indicati per i lunghi spostamenti: chi si metteva in viaggio di solito lo faceva a cavallo, caricando gli eventuali bagagli su bestie da soma. In questo modo riusciva a macinare fino a 60 chilometri durante il giorno, e di notte trovava riparo in uno dei numerosi monasteri sparsi lungo il cammino.
Un po' come i gestori dei moderni motel. i monaci offrivano un letto, cibo caldo e a volte persino vestiti a chi bussava alla loro porta, soprattutto se indossava la tonaca o era di rango elevato, Ma in alcune abbazie l'ospitalità non si negava a nessuno: la regola benedettina ordinava di "riconfortare il povero, vestire l'ignudo, soccorrere chi si trova nella tribolazione, consolare l'afflitto", Il monaco preposto, l'elemosiniere, accoglieva i bisognosi nella cosiddetta casa dei poveri, all'esterno del chiostro: a ciascun ospite consegnava una libbra (quasi mezzo chilo) di pane al suo arrivo e la metà quando ripartiva, insieme a un buon bicchiere di vino.
ISTRUZIONI PER L'USO.
La generosità della Chiesa si rivolgeva anche ai figli degli abitanti dei villaggi, che imparavano i rudimenti delle vite dei santi, il catechismo e le basi per far di como nelle scuole gestite dalle abbazie. Alcuni contadinelli più dotati venivano poi scelti per continuare gli studi all'interno del monastero. I futuri monaci vivevano un'esistenza fatta di regole ferree: in particolare i ragazzi non potevano mai stare da soli e neppure allontanarsi con un amico (pena crudeli punizioni con la frusta e, per i recidivi, anche catene e digiuno) tale era l'ossessione che potessero nascere "amicizie panicolari" contrarie alla morale cristiana.
Non contenta di regolare la vita spirituale, la Chiesa infatti si preoccupava di controllare anche la vita sessuale delle sue pecorelle. Ancor più fuori dai monasteri, l'adulterio e l'incesto erano i peccati più gravi, insieme alla pratica della contraccezione. al tentativo di aborro, alle unioni omosessuali, alle magie d'amore (pertenersi stretto un marito o per renderlo impotente in caso di abbandono). Ma persino gli sposi fedeli potevano incorrere nelle sanzioni ecclesiastiche.
UNA VITA PIUTTOSTO BREVE.
Nonostante le ammonizioni lanciate dai pulpiti, non era raro però che i peccatori più incalliti si preoccupassero della loro anima solo in punto di morte, facendosi monaci all'ultimo momento per avere la strada spianata verso il paradiso. Purtroppo per loro, spesso la morte non avvisava prima di arrivare: nel Medioevo si poteva morire di fame, di malattia, di spada. ma quasi mai di vecchiaia. La mancanza di registri rende impossibile conoscere con esattezza l'età media dei contadini di quel periodo. ma un'idea ce la si può fare dall'analisi dei resti recuperati nei cimiteri. La palma d'oro della longevità spettava in genere ai prelati; i prìncipi rendevano invece a lasciare questo mondo piuttosto giovani, di solito in battaglia.
TEMPI BUI.
Il clima, invece, mieteva vittime soprattutto tra i più poveri. Negli anni successivi al 990 i compilatori raccontano che si alternarono "siccita disastrose" ed "eccessive piogge": all'epoca le piene dei fiumi significavano regolarmente inondazioni e nessun sistema di irrigazione compensava la mancanza di piogge. Così, intorno al 1005 e poi di nuovo nel 1032, a causa di "spaventose carestie" la gente cominciò a morire di fame. Come raccontò uno dei maggiori cronisti medioevali, Rodolfo il Glabro, quando non ci fu più niente da mangiare "i figli ormai grandi divoravano le madri. mentrele stesse madri dimentiche di qualsiasi tenerezza facevano altrettanto con i bambini più piccoli. Viaggiatori colti per via venivano trucidati, fatti a pezzi e arrostiti, altri abbattuti e divorati da chi li aveva ospitati per una notte".
Di Maria Leonarda Leone, estratti dalla rivista "Focus Storia", inverno 2011,(Collection). Compilati, digitati e adattati per essere postato per Leopoldo Costa.
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