11.09.2012

LE ALGHE IN CUCINA: SALUTE E SAPORI


La macrobiotica le valorizza, ma anche la cucina mediterranea le utilizza.
Tre chef spiegano il loro rapporto con la «verdura di mare», non più esotica Così trova sempre più spazio nelle ricette dell’alta ristorazione. In ogni piatto.


Persino il grande Pablo Neruda nella sua poesia postuma «El mar y las campanas», pubblicata nel 1974, dedica alcune strofe alle alghe. «Devo dire: son qui,/questo m’accade e questo accade:/frattanto le alghe dell’Oceano/si dondolano predisposte all’onda (...)». Certo il poeta non pensava di mangiarle, ma da alcuni anni le alghe hanno trovato posto sulla nostra tavola. Tre chef, che da tempo le usano in cucina, raccontano nelle loro ricette le qualità organolettiche e la duttilità sprigionate da questi «organismi » così saporiti.

Tonino Cannavacciuolo, due stelle Michelin a Villa Crespi, lo splendido albergo di Orta San Giulio in provincia di Novara, ricorda le alghe fin da ragazzo. «Prima di diventare cuoco — racconta — sono stato pescatore e le alghe le vedevo tutti i giorni perché i pesci riposavano tra due guanciali di "lattuga" la più semplice che troviamo nei nostri mari. Oggi uso spesso questo organismo uni o pluricellulare per dare aroma al brodo di pesce o come nota decorativa per finire alcuni piatti».

Arrivate in sordina insieme al riso integrale, al tofu, al seitan, alle salse di soia e ad altri alimenti tipici della dieta macrobiotica, le alghe si sono imposte non senza qualche difficoltà nel mercato degli alimenti naturali e biologici. A frenare una loro più larga affermazione sono alcuni ingiustificati pregiudizi. «Il primo pregiudizio da sfatare — continua Cannavacciuolo — è quello che vuole le alghe un alimento esotico, tipicamente orientale, del tutto estraneo alla nostra tradizione alimentare. In realtà l’uso delle "verdure di mare" vanta una tradizione antichissima, anche se in gran parte dimenticata, non solo in numerose nazioni europee, ma anche in alcune regioni del nostro paese. Tutti parlano del pesce crudo giapponese, ma non dimentichiamoci che anche nel nostro sud...»

Esistono molti tipi di alghe, suddivise in oltre 25 mila specie. Ve ne sono di microscopiche (come la spirulina), di giganti (possono raggiungere centinaia di metri di lunghezza) e di dimensioni intermedie. Possono essere di colorazione diversa (verde, giallo, rosso, rosso-violaceo, azzurro, blu, bruno), come diversificato è anche il loro habitat. Alcune specie vivono fissate agli scogli, altre ai fondali rocciosi, altre galleggiano libere a diverse profondità.

Moreno Cedroni, chef del bistellato ristorante «Madonnina del pescatore» a Senigallia, è sicuramente uno dei cuochi più titolati per raccontare il rapporto tra le alghe e la cucina. «Sono nato — accenna il cuoco marchigiano — in una città di mare e da piccolo facevo il bagno tra le alghe e ho quasi un rapporto "nostalgico". Le uso fin dal 1997 quando facevo il verso al sushi. Poi maturando ho capito che non serviva soltanto per quello. Conosco diversi tipi di alghe da utilizzare in altrettante preparazioni. La Nori serve come decorazione un po’ come il nostro prezzemolo, la Kombu la utilizzo fresca per la sua consistenza carnosa. Le alghe hanno una sola controindicazione, non vanno usate quasi mai nei piatti caldi. Preferibilmente le preferisco utilizzare negli antipasti».

Gennarino Esposito, cuoco con due stelle Michelin de la «Torre del Saracino» a Vico Equense nei suoi piatti di mare chiede il sostegno delle alghe. «L’utilizzo delle nostre lattughe di mare — dice lo chef campano — è, in qualche modo, la genesi della mia cucina. La nostra alga è potente sapida, iodica, non può essere semplicemente una componente di un piatto, deve assumere il ruolo di protagonista, deve caratterizzare il piatto, come nel risotto con la cipolla ramata di Montoro, attualmente nel menù nel quale si fondono la dolcezza e la terrosità con l’aggressività irrequieta del mare».

Già da qualche tempo rimbalzano sulle tavole di molti ristoranti i toni e i profumi di tante alghe orientali, frutto anche di viaggi e contatti con altre culture. L’elaborazione di queste esperienze e la fusione con gli ingredienti tipici dei nostri territori hanno affascinato molti cuochi italiani. «Anch’io —conclude —sono stato contagiato da questa fascinazione e così ho pensato a un baccalà, prodotto che, in qualche maniera, è diventato nostro perché nei paesi vesuviani lavorano alcuni tra i migliori affinatori di questo pesce dei mari freddi, abbinato alle sfumature tostate dell’alga Nori, che svolge la sua funzione di accompagnamento discreto ed elegante». L’indiscutibile differenza tra un prodotto fresco e uno secco diventa la guida per un uso differente in piatti differenti, con attenzione, quindi, senza pregiudizi.

Di Maurizio Di Gregorio, estratti dalla rivista "Beauty ",inserto "Corriere Della Sera" 9 de novembre 2012. Compilati, digitati e adattati per essere postato per Leopoldo Costa.



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