3.29.2016

FRANCESCO, L'ULTIMO PAPA? LA PROFEZIA DELL'ULTIMO PAPA


La previsione di Malachia sulla successione dei pontefici è uno tra i più grandi enigmi della storia millenaria della Chiesa.

Durante l’ultima persecuzione della Santa Romana Chiesa siederà Pietro il Romano che pascerà il gregge fra molte tribolazioni. Passate queste, la città dei sette colli crollerà e il tremendo giudice giudicherà il suo popolo. Amen”.

Parole terribili per il futuro della Chiesa. Le ha pronunciate un santo. Le sue profezie sembrano avere attraversato indenni quasi 900 anni di storia. Malachia, questo il suo nome, ha previsto l’elezione di tutti i pontefici che si sono succeduti dall’anno Mille ai giorni nostri. La sua lista, all’apparenza, sembra fermarsi in corrispondenza dell’attuale Papa emerito Benedetto XVI, predecessore di Francesco. Joseph Ratzinger, il vescovo di Roma che ha bruscamente interrotto il pontificato nel febbraio del 2013. La sua rinuncia al ministero petrino ha la sciato il mondo sbigottito. L’ultimo pontefice a dimettersi prima di lui era stato Gregorio XII, in carica dal 1406 al 1415. Seicento anni fa.

Lunga lista

Anno del Signore 1148. Secondo la leggenda, san Malachia riceve la visione di tutti i papi che siederanno sul soglio di Pietro fino alla fine della Chiesa. I suoi manoscritti vengono raccolti e pubblicati ufficialmente per la prima volta solo nel 1595 dal monaco benedettino Arnold Wion nella Profezia dei sommi pontefici romani. Si tratta di un elenco di 112 papi: a ognuno è associata una frase da decifrare. La lista inizia con Celestino II e sembrerebbe finire con Benedetto XVI, il Santo Padre della rinuncia. La profezia lascia intendere, dunque, che Ratzinger sarebbe stato l’ultimo capo della Chiesa cattolica. Ma il pontefice tedesco nel febbraio del 2013 ha sorpreso tutti con la clamorosa rinuncia. Attualmente vive in riservatezza con il titolo di Papa emerito. Una situazione del tutto inattesa e inedita. Al suo posto oggi c’è Francesco, Jorge Mario Bergoglio, eletto il 13 marzo 2013. Potrebbe essere lui, in realtà, l’ultimo successore di Pietro. Una previsione drammatica.

Su questo punto ci sono interpretazioni contrastanti. Nella profezia di Malachia a ogni pontefice è dedicata una riga. Poche parole in latino che anticipano l’elezione.

Il primo della lista, Celestino II, viene annunciato dalla frase “Ex castro Tiberis”, che si può tradurre come “Dal castello del Tevere”. Il pontefice effettivamente era di Città di Castello, il principale centro umbro sull’alta valle del fiume Tevere. Per Lucio II la profezia annuncia, invece, “Inimicus expulsus”, ossia “Il nemico cacciato”. Ebbene, il cognome dell’allora futuro Papa era esattamente Caccianemici. La frase che anticipa Eugenio III è “Magnitudine montis” che tradotto dal latino significa “Grandezza del monte”. Il pontefice era signore di Montemagno. Il celebre Celestino V viene, invece, profetizzato dalla frase “Ex eremo celsus”, ovvero “Elevato dall’eremo”. Pietro da Morrone era proprio un eremita. Le coincidenze iniziali sembrano impressionanti.

La Chiesa è in crisi

La vita di Malachia è costellata di miracoli e previsioni, una delle quali riguardava addirittura la sua morte. Secondo alcuni studi condotti sulle profezie del santo irlandese, c’è una netta differenza tra quelle che arrivano fino al 1600 e le successive. Le prime sarebbero molto più precise delle seconde. Una possibile spiegazione di questa incongruenza chiama in causa il benedettino belga Wion, l’uomo che le ha rese note per primo alla fine del 1500.

La raccolta De summis pontificibus viene pubblicata nel 1595, cinque secoli dopo Malachia. È un momento difficile per la Chiesa cattolica. Urbano VII è stato Papa per soli 12 giorni e la riforma protestante sembra dilagare. Alcuni studiosi pensano che la pubblicazione delle profezie possa essere stata il tentativo di dare un segnale di stabilità, di rassicurare il mondo che sarebbero arrivati almeno altri 112 papi.

“Il testo delle profezie di Malachia – spiega il giornalista e scrittore Armando Torno – viene stampato per la prima volta a Venezia. Il religioso Arnold Wion lo mette in un libro intitolato Lignum vitae. La profezia, però, circolava già da qualche anno. Gli storici posteriori diranno che è stata fabbricata nel conclave del 1590”. Un conclave tumultuoso, durato 57 giorni e terminato con l’elezione di Gregorio XIV.

“Ho avuto la possibilità di visionare il libro negli Archivi Vaticani”, spiega lo scrittore indiano Schmiegel Maria Olaf. Sono due volumi di storia dei benedettini, di cui quattro pagine riportano la profezia. “Che sia stato manomesso durante la controriforma, quando la Chiesa cercava di ristabilire la propria posizione, è probabile”. Alcuni motti lo fanno pensare, ma il dubbio riguarda non più di tre o quattro frasi.

Ai giorni nostri

Dal 1595, dunque, le profezie sono finalmente scritte e, quindi, possono essere verificate e  controllate.

Il 107esimo Papa predetto da Malachia è identificato dalla frase “Pastore et nauta”, ovvero “Pastore e marinaio”. Angelo Roncalli, pontefice dal 1958 al 1963 con il nome di Giovanni XXIII, era effettivamente uomo di umili origini, pastore, ed è stato patriarca di Venezia, città sull’acqua per eccellenza, dunque nauta.

Il 108esimo è “Flos florum”, che tradotto dal latino significa “Fiore dei fiori”. Il giglio è da sempre chiamato così: ebbene, nello stemma di Giovanni Battista Montini, papa Paolo VI dal 1963 al 1978, ci sono proprio tre gigli.

Nel 1978 sale al soglio di Pietro Albino Luciani che prende il nome di Giovanni Paolo I. Il suo pontificato, però, dura solo 33 giorni. Per lui Malachia aveva predetto “De medietate lunae” che potrebbe essere interpretato come “Il tempo di una luna”, proprio la durata del suo papato.

I successivi 27 anni sono quelli del polacco Karol Wojtyla, Papa con il nome di Giovanni Paolo II. Nella profezia era annunciato come “De labore solis”, che può essere tradotto “Della fatica del sole”. C’è chi interpreta il motto pensando a Wojtyla come il pontefice che ha visitato più paesi in assoluto: con lui la Chiesa è arrivata ad avere una importante influenza spirituale in un’area su cui non tramonta mai il sole. C’è un altro collegamento tra Giovanni Paolo II e il sole. “Il motto che lo descrive – spiega l’astrofisico e scrittore Mario Menichella – potrebbe trovare una spiegazione nel fatto che Wojtyla è nato proprio nel giorno di un’eclissi di sole. Tra l’altro è anche interessante il fatto che il suo funerale sia stato celebrato durante un’altra eclissi. Chi si intende un po’ di astronomia sa che questi sono fenomeni estremamente rari”.

Per l’ultimo Papa profetizzato da Malachia, infine, la frase è “Gloria olivae”. Qualcuno ha immaginato che il motto possa essere collegato al nome scelto da Ratzinger come pontefice: alcuni benedettini sono anche chiamati “monaci olivetani”. Nel 2009, inoltre, il Papa tedesco ha canonizzato Bernardo Tolomei, fondatore dell’ordine degli olivetani.

La profezia di Malachia sulla fine dei tempi si è rivelata, dunque, sbagliata? Benedetto XVI ha rinunciato al soglio petrino gettando la Chiesa nello sconforto è vero, ma dopo di lui è venuto Francesco, un Papa sin da subito molto amato da tutti. Ratzinger, dunque, non era l’ultimo pontefice della storia della Chiesa cattolica.

Il motto perso

A questo punto la suggestione diventa massima: c’è una teoria secondo cui Benedetto XVI, in effetti, secondo le previsioni di Malachia, doveva essere il penultimo Papa, non l’ultimo. Le testimonianze sono riportate nel libro La profezia dell’ultimo Papa dello scrittore indiano Schmeig Maria Olaf.

Tutto ruota attorno a un motto perduto che recita “Caput nigrum”. Una profezia tramandata solo oralmente che precedeva la frase “Gloria olivae”. Si lega bene alla figura di Benedetto XVI: il Papa emerito nel suo stemma aveva proprio una testa di moro. Secondo questa teoria fantasiosa, sarebbero, dunque, due e non uno i papi prima delle fine del mondo.

“Nella Basilica di san Paolo fuori le mura a Roma ci sono i medaglioni che ritraggono tutti i papi, da san Pietro fino ai giorni nostri”, racconta Olaf. “Si può ipotizzare al tempo di san Malachia quanti fossero ancora i medaglioni vuoti: dovevano essere 113. I motti pubblicati da Wion, invece, sono 112: 111 più l’ultima frase. Dunque, ed è questa la cosa interessante, ne manca uno”. Caput nigrum, appunto.

“Quando sono venuto a Roma ho saputo dell’antica tradizione popolare che parla del Papa nero a ridosso della fine della Chiesa e del mondo”, continua lo scrittore indiano. “Ho trovato un’iscrizione non in latino che ho interpretato come ‘Caput nigrum’. Questa frase, capo nero, potrebbe avere numerose interpretazioni: potrebbe essere un pontefice, certo, ma personalmente lo collego al drago nero dalle sette teste di cui Giovanni parla nell’Apocalisse”.

Se fosse un Papa, il riferimento potrebbe essere a Benedetto XVI e alla testa di moro sul suo stemma, un antico simbolo della diocesi di Frisinga che ha scatenato fantasie millenaristiche. L’ultimo motto, “Gloria olivae”, dunque, non era riferito a Ratzinger, ma profetizzava la venuta dell’attuale Papa, Jorge Mario Bergoglio.

È prematuro trarre conclusioni sul collegamento tra la frase “Gloria dell’ulivo” e Francesco anche se il legame con l’albero simbolo di pace, salta subito agli occhi. È stato lo stesso Bergoglio, dopo la sua elezione, a spiegare la scelta del nome con un preciso riferimento ai poveri e alla pace: “Mentre lo scrutinio proseguiva ho pensato alle guerre. E Francesco d’Assisi è l’uomo della pace. Così è venuto il nome nel mio cuore”, ha detto dopo la sua elezione al soglio di Pietro.

Non c’è da temere

Potrebbe essere Francesco, dunque, il Papa della profezia di Malachia. Si tratta, ovviamente, solo di una suggestione affascinante. Ovviamente, non c’è da avere paura del futuro né da un punto di vista pratico né tantomeno teologico.

“Una donna quando dà alla luce un figlio soffre duramente”, spiega il teologo Piero Coda. “Ma quando il bimbo è nato, non ricorda più i patimenti perché gioisce di questa vita nuova che è venuta al mondo. Ecco questa è la fine dei tempi: la vita nuova che nasce da un parto difficile che viviamo e con noi vive l’intero cosmo, ma che è proprio il grembo da cui deve nascere questa vita piena, bella di cui non finiremo mai di ringraziare e di contemplare la profondità e lo splendore”. La fine dei tempi e della Chiesa, secondo la dottrina cattolica, non sono avvenimenti negativi, ma rappresentano la nuova venuta di Cristo, la salvezza definitiva, il compimento della storia umana. Nel Catechismo della Chiesa cattolica c’è scritto: “Alla fine dei tempi il regno di Dio giungerà alla sua pienezza. Dopo il Giudizio universale i giusti regneranno per sempre con Cristo, glorificati in corpo e anima e lo stesso universo sarà rinnovato. Allora la Chiesa avrà il suo compimento nella gloria del cielo”.


Estratti "Voyager Magazine", Milano, Italia, anno V n.4 (43), aprile 2016, pp. 18-25.  Compilati e adattati per essere postato per Leopoldo Costa.



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