Gli egizi avevano una dieta varia. Anche se i meno ricchi dovevano accontentarsi di poco...
Avere un appetito robusto era sinonimo di buona salute già per gli antichi Egizi. E fortunatamente, se il Nilo non faceva i capricci, nella terra dei faraoni si soffriva la fame molto meno che altrove. Nutrire il popolo era poi un punto d’onore per molti sovrani. Negli Insegnamenti al figlio Sesostri, Amenemhat I (re dal 1994 al 1964 a.C.) si vantava di quanto fatto: “Sono io che ho coltivato l’orzo e amato il frumento. Il divino Nilo mi ha rispettato e nessuno ha conosciuto la fame durante il mio regno, nessuno la sete”.
Quaranta tipi di pane.
La dieta di base della gente comune era molto semplice. Pane e birra erano il cibo e la bevanda più in voga, che costituivano anche la “paga” con cui i faraoni compensavano gli operai, dato che il denaro non era in uso. Sembra che ci fossero qualcosa come 30 o 40 tipi di pane, diversi in quanto a forma (triangolare, rotonda, ovale...) e ingredienti (a base di orzo, farro, frumento...). Resti di pagnotte “mummificate” sono stati trovati in diverse tombe, come quella di Mentuhotep II (regnante dal 2064 al 2013 a.C.) a Deir el-Bahari.
Ma il pane non era tutto. «Si mangiava moltissimo pesce, sia d’acqua dolce che salata: carpe, pesci gatto, muggini, anguille...», spiega Edda Bresciani, egittologa, già docente dell’Università di Pisa. «Dall’allevamento e dalla caccia nelle paludi venivano anatre, oche, piccioni, quaglie e pellicani con le relative uova. I volatili erano conservati sotto sale o sotto grasso. Si consumava anche molta carne suina e ovina (i rognoni di pecora erano particolarmente apprezzati), più raramente quella bovina.
La carne era cucinata lessa, arrosto o allo spiedo». La dieta era poi integrata con latticini, tantissima verdura (andavano molto le cipolle, ma anche cetrioli, porri, lattuga e ravanelli), legumi (fave, lenticchie, piselli) e frutta (meloni, fichi, uva, datteri, cocomeri). Purtroppo, però, gli antichi Egizi non ci hanno lasciato ricette, ma solo liste di ingredienti. «Le nostre conoscenze sulle loro abitudini a tavola », precisa Bresciani, «derivano da diverse fonti: per esempio il corredo della tomba di Kha, architetto vissuto al tempo della XVIII dinastia, mostra abbondanti provviste di pagnotte, vino in anfore, grasso, latticini, pezzi di carne e volatili salati, pesce secco, sale da cucina, aglio e cipolle, frutta, bacche di ginepro e semi di cumino». Gli scavi archeologici hanno poi restituito esempi di grandi forni per il pane, come quello del III millennio a.C. riemerso dalla sabbia nei pressi della sfinge di Giza.
Gli Egizi consumavano tre pasti al giorno, come facciamo noi oggi. La cena era quello principale. A tavola non usavano né coltello (che però esisteva) né forchetta (che invece non c’era): si portavano il cibo alla bocca con le mani. Pentole e padelle, solitamente, erano di coccio; piatti, ciotole e bicchieri di terracotta. Ma presso re e cortigiani il servizio da tavola poteva anche essere d’oro o d’argento.
Si mangiava accomodati su stuoie e cuscini. Nel Nuovo Regno, i rappresentanti dei ceti elevati introdussero la moda di sedersi su sedie, davanti a tavoli alti. Nelle case dei ricchi, il cibo era servito da numerose domestiche e da giovanetti. E nei conviti non mancavano la musica, le affascinanti danzatrici vestite solo di gioielli e gonnellini, i giocolieri.
Focaccia sonante.
Come detto, il pane rivestiva un ruolo fondamentale nell’alimentazione quotidiana. Era cotto all’aperto, in forni d’argilla che si trovavano nei cortili delle case. «Il pane poteva essere consumato al naturale o arricchito con grasso e uova, oppure addolcito con miele e frutta. Vi erano anche focacce, sulle quali si poteva spalmare il miele o una specie di marmellata di datteri», aggiunge Edda Bresciani. Ma nel pane, generalmente d’orzo, vi erano quasi sempre anche ingredienti... indesiderati: sabbia, pietruzze, insetti e persino sterco di mucca. Così dimostra l’analisi del pane ritrovato nelle tombe.
La fine sabbia del deserto, in particolare, non si riusciva a evitare; si mescolava alla farina e come risultato causava la precoce usura dei denti dei poveri Egizi. Secondo l’archeologo Zahi Hawass, segretario generale del Consiglio supremo delle antichità egizie, il pane che si preparava nel III millennio a.C. era molto simile a quello tradizionale, rotondo, che viene fatto ancora oggi dai contadini dell’Alto Egitto e che va sotto il nome di aysh sham o “pane del sole”.
Da stordire.
La birra, invece, densa e in genere di media gradazione alcolica (comunque superiore a quella della bevanda moderna), si otteneva dalla lavorazione di pani d’orzo cotti in maniera imperfetta, messi poi a fermentare nell’acqua. Il composto che ne derivava veniva quindi filtrato e lasciato depositare.
Una casa produttrice di birra, la giapponese Kirin, in collaborazione con l’Università di Waseda (Tokyo) e con l’egittologo Sakuji Yoshimura, ha tentato qualche anno fa di ricreare la birra egizia seguendo le indicazioni tratte dai dipinti di una tomba di 4.500 anni fa. La bevanda prodotta è risultata molto scura, densa, con un gusto forte e acido (a causa di una concentrazione di acido lattico 20 volte superiore a quella della birra ordinaria) e con un grado alcolico del 10%, probabilmente eccessivo rispetto all’originale.
Anche il vino (erpi, per gli Egizi) era consumato con una certa frequenza: «La vite era diffusa fin dall’Antico Regno nel Delta del Nilo e in altre regioni », sottolinea Bresciani. «Veniva coltivata in filari ma soprattutto a pergola, e dava uva bianca e nera, usata in gran parte per la vinificazione». La produzione era abbondante: «Si è calcolato che verso il 1200 a.C. un gruppo di 21 vignaioli fornisse annualmente 1.200 giare di vino buono e altre 50 di vino mediocre. Era bevuto meno della birra, ma il suo consumo non era poi così esclusivo». Il vino egizio era molto pregiato, tanto che veniva anche esportato. E su diverse anfore è stato trovato una sorta di sigillo che ne garantiva la qualità “doc”. Immaginarne il gusto è difficile: prima di essere bevuto, il vino era trattato mescolandone tipi diversi e a volte arricchendolo con miele, che lo rendeva più amabile.
Piatto da faraoni.
Qualcosa che appariva sulle tavole dei faraoni, però, è effettivamente giunto fino a noi. Oltre al pane c’è il ful medames, piatto nazionale egiziano, la cui origine risale probabilmente all’antichità. Si tratta di piccole fave lessate per ore e insaporite con olio e aromi (prezzemolo, cumino e aglio). Un sapore davvero... antico. •
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Dall’infanzia alla morte: una vita nella birra
Dai primi mo menti di vita fino alla morte (e oltre) l’esistenza degli antichi Egizi era “immersa” nella birra, la cui origine facevano addirittura risalire al dio Ra, che ne aveva fatto dono agli uomini.
Neonati.
Già i lattanti erano svezzati con una bevanda a base di zythum (la birra chiara), acqua, miele e farina d’orzo. I fanciulli erano poi iniziati al consumo (mo derato) della birra regalando loro, in un’apposita ceri monia, una picco la anfora che indi cava la quan tità massima per mes sa ogni giorno.
In medicina, la birra era utilizzata come rimedio contro le malattie (soprattutto di origine intestinale), per curare le ferite e come antidoto al morso degli scorpioni. E dopo la morte, pri ma di cominciare l’imbalsamazione, il cadavere era sottoposto a un lavaggio purificatorio con questa bevanda.
Aldilà.
Offerte di birra, infine, erano ritenute necessa rie non solo per il viaggio nell’oltretomba ma anche per “sostenere” i sacer doti nelle lunghe orazioni funebri. Naturalmente, per loro, la birra era di qualità.
Di Gianluca Ranzini, estratti "Focus Storia Collection", Estate 2016, Mondatori, Milano, pp.80-83. Compilati e adattati per essere postato per Leopoldo Costa.
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