8.06.2016

LA CUCINA STORICA - ETRUSCHI, GRECIE E ROMANI




I Primi Anni

La civiltà era proprio la capacità dell’uomo di regolarla la natura, di creare un ordine artificiale e umano.

La storia della nostra alimentazione è parte significativa della nostra storia complessiva; l’economia e la politica, la cultura nel senso più ampio del termine, la salute, sono tutti aspetti che hanno un rapporto diretto e privilegiato con i problemi dell’alimentazione. Intanto perché la sopravvivenza quotidiana è il primo bisogno dell’uomo, anche se non si vive di solo pane. E poi il cibo è anche piacere e tra questi due termini si snoda una storia complessa e spesso drammatica, fortemente condizionata dai rapporti di potere e dalle sperequazioni sociali. Una storia di fame e di abbondanza, ma anche di immaginario collettivo, di piccoli e grandi scambi commerciali e culturali con paesi vicini o lontanissimi; una storia spesso trasversale e dove gli avanzi di cibo dei ricchi diventano, tra le abili mani di cuochi-servi, piatti meravigliosi che ritornano sulle tavole dei ricchi, oppure i piatti più poveri e “rimediati” in qualche modo divengono prelibatezze e simboli di un intero popolo.  In questo piccolo angolo proporremo anche alcune ricette esemplificative e talvolta “storiche”, per quanto le fonti non siano sempre chiare e dettagliate e ovviamente lo faremo interpretando testi antichi e documenti più o meno simili a ricettari, in chiave attuale e personale. In alcuni casi non sarà difficile poiché, dalla scoperta del fuoco, dalla coltivazione dei cereali e dall’uso delle pentole, molti piatti, che ci sono noti, sono rimasti sostanzialmente invariati nel corso dei secoli; ad esempio gli spiedi, gli arrosti e le grigliate rimangono tutt’ora piatti molto apprezzati. E così pure il pane condito con l’olio e qualche altro ingrediente. Lo stesso si può dire di molte minestre di verdure e cereali, talvolta arricchite da carne o da pesce; di molte verdure bollite e via dicendo. Paradossalmente invece, ad esempio, scopriremo che la pasta, vero vanto nazionale, è un’acquisizione molto recente della nostra gastronomia, se intesa come piatto importante e diffuso.


In una condizione migliore, anche se lo diciamo con molta cautela, accade che i ricchi spostino la soglia della distinzione sociale, dei bisogni o dei desideri molto più in alto. I commerci hanno portato in Europa grandi quantità di spezie, particolarmente apprezzate, ricercate e costose. Una vera e propria “follia delle spezie”, come è stato scritto da importanti storici. Le grandi corti e la nuova classe sociale borghese sono più attente nel ricercare il lusso, il piacere e la bellezza anche a tavola.

Nasce una nuova attenzione nei confronti del cibo; l’ultimo vero trattato di gastronomia, in qualche modo significativo, è ancora quello di Apicio. È a partire dal XIII sec. che in Europa si comincia a scrivere dettagliatamente di gastronomia; certo è mescolata alla medicina, alla farmacologia, alla gestione della casa patrizia e si confonde in mezzo a altri trattati. Non possiamo pensare ai ricettari di oggi, ma la letteratura gastronomica sta nascendo e molti manuali sono indirizzati al personale di servizio “direttivo”.  Si racconta del cibo, e dei pranzi anche nei primi libri di racconti storico-fantastici e in molte novelle. Una novità assoluta è rappresentata dalle torte; ovviamente non le torte che immaginiamo oggi, ma piuttosto qualcosa di simile ai pie anglosassoni, alle quiche francesi o alle torte salate nostrane, tipo erbazzone o torta pasqualina. Una sorta di pasta non ben precisata che racchiude ingredienti vari, in genere già cotti, finemente pestati e ben conditi. Parallelamente a tutto ciò ed è necessario ripetersi, esiste una realtà molto più dura: in particolari momenti della storia dell’Europa lo stress alimentare, le terribili condizioni igieniche, le guerre e le devastanti epidemie di peste portarono il nostro Continente a una perdita di vite umane, tra il 1347 e il 1351, che non è difficile calcolare in più di un quarto della popolazione di allora; si tratta di milioni di morti. Le epidemie di peste si ripeteranno una trentina di volte sino alla metà del Seicento.  Tragedie del genere e la conseguente penuria di manodopera poteva portare spesso a veri e propri cambiamenti di stili alimentari e quindi, anche se oggi ci sembra paradossale, ad un maggior consumo di carne e pesce rispetto al fondamentale pane. Ovviamente poi le cose migliorano, e numerosi documenti testimoniano di condizioni di vita accettabili per ampi strati della popolazione in diverse città italiane quali ad esempio Parma e Piacenza già ben prima della fine del XIV secolo. (Stravaganza-Leopoldo Costa)


Gli Etruschi

Cucina storica, gli etruschi e la loro alimentazione, ultime notizie Italia – Gli Etruschi furono sicuramente abili agricoltori e dediti alla pastorizia. Poche  sono le fonti che abbiamo a disposizione per approfondire l'alimentazione degli Etruschi. Abbiamo a disposizione delle testimonianze letterarie di greci e latini che parlano di prodotti alimentari e agricoltura. Sappiamo tramite il filosofo e storico Posodonio che gli Etruschi due volte al giorno apparecchiavano sontuose mense. I principali alimenti  erano derivati da suini, ovini, pollame e cacciagione e sicuramente legumi e frutta. In scavi di insediamenti Etruschi sono stati rinvenuti semi di noccioli, ghiande, olivo, fico, orzo, prugna e addirittura resti di fave.

La loro cucina era sicuramente basata su aglio che cresceva spontaneamente nelle zone ombrose e cipolla ritenuti da loro, alimenti curativi, afrodisiaci e stimolanti. La cipolla veniva usato in modo moderato dai nobili esclusivamente cotta al contrario della servitù che ne faceva uso smodato e cruda condita con poco sale. Anche il porro o Allium orrum era usato nella cucina popolare delle lucumonie dell'Etruria, conosciuto come pianta tipica mediterranea con sapore meno forte e più delicato dell'aglio. Per insaporire (specialmente la selvaggina) gli Etruschi usavano l'alloro che cresceva spontaneo addirittura in "boschi"  come testimonia uno studio di un paese della provincia di Arezzo di un "Lauretum" ovvero un bosco di alloro!

I Greci

Dall’incontro tra la civiltà greca e quella sicula si affermò il gusto di una cucina più raffinata. I suoi segreti ci furono tramandati da alcuni scrittori come Archestrato di Gela (IV secolo a.C.). Quest’ultimo, che era anche un noto filosofo, avendo visitato molte terre, asserì che in Sicilia aveva scoperto il piacere della buona cucina. Fu autore di un poemetto eroicomico sull’arte culinaria, “Hedypatheia”, cioè “Le delizie”

I Greci furono i primi a occuparsi dello studio dell’alimentazione. Padre della dietetica attuale fu infatti Ippocrate, grandissimo medico greco che considerava ogni alimento fattore di salute o causa di malattie.

Tra gli alimenti maggiormente consumati nell’antica Grecia c’era il pane. Ateneo nei suoi scritti cita 72 nomi di pani: allo zafferano, al finocchio, al rosmarino, all’oliva, all’anice, ai capperi, alla cipolla ecc.

Insieme col pane, il pesce costituiva l’alimento maggiormente consumato. A noi sono giunte solo poche ricette tra cui quella del pesce al cartoccio (cuocere dei filetti di sarda avvolti in foglie fico). La pesca era per i Greci un vero e proprio mestiere di cui Platone esalta il piacere. Il vino non veniva bevuto puro (ácratos), ma allungato con acqua fino a formare una miscela più o meno alcolica in grandi vasi chiamati crateri, a cui attingevano i servi usando dei lunghi mestoli. Il vino veniva bevuto soprattutto durante i banchetti.

L’olio d’oliva, alimento principe di Creta, è tuttora parte vitale dell’alimentazione nel Mediterraneo. Come frutta, si consumavano mele, pere, uva, melegrane, fichi, datteri e noci. Le bevande (vino, the a base di erbe, idromele): molto gradito dai contadini greci era il kykeón (consisteva in una mistura di farina d’orzo ed acqua, aromatizzata con la menta o il timo). L’idromele era una miscela di acqua e miele. La carne veniva consumata soprattutto dai ricchi.

A differenza di quanto in uso in Italia, la Grecia non usa il primo piatto. Il pasto si apre dunque con una serie di antipasti detti mezédes o orektiká. Segue un piatto principale che può essere a base di carne o pesce, spesso cucinati alla griglia o alla piastra, oppure un'insalata e formaggi. Seguono i dolci che possono essere al forno o al cucchiaio. Onnipresente è l'olio d'oliva, solitamente di alta qualità, che viene impiegato senza risparmio.

Spanakopita  è una torta di spinaci tradizionale della cucina greca con un ripieno di spinaci, feta (solitamente), cipolle novelle, uova e condimenti (che spesso includono aneto). Il ripieno viene avvolto in strati di sfoglia phyllo con olio d'oliva in una padella grande da cui si tagliano le porzioni individuali oppure arrotolati in singole porzioni triangolari. Al termine della cottura assume una colorazione dorata.

I Romani

Antichi Romani a Tavola
    
Durante l’intera giornata, gli antichi romani facevano tre pasti principali: jentaculum, prandium e coena. Il primo pasto corrispondeva, più o meno, alla nostra prima colazione; era a base di pane, formaggio, latte, miele, vino e frutta secca e si consumava molto velocemente. In tarda mattinata si faceva un’altro spuntino veloce e freddo a base di pesce, pane, frutta, legumi e vino.

Corrispondeva, all’incirca, al nostro pranzo ma era talmente "spartano" che non era necessario apparecchiare la tavola e nemmeno lavarsi le mani a fine pasto.

Il pasto importante avveniva, invece, nel pomeriggio dopo il solito bagno alle terme e, a volte, si protraeva fino all’alba del giorno successivo.

La coena (cena), inizialmente, veniva consumata nell’atrio ma quando le case divennero più ampie e articolate e soprattuto dove la ricchezza della classe dirigente lo rendeva possibile, si svolgeva nel "triclinio" (sala da pranzo) dove il padrone di casa faceva disporre i "triclinari" (letti/divani) sui quali potevano sdraiarsi i convitati. Gli antichi romani, mangiavano distesi sui "triclinari", appoggiandosi lateralmente sul braccio sinistro e tenendo libero il destro per poter afferrare il cibo dai bassi tavolini diligentemente apparecchiati.

L’ospite d’onore aveva diritto ad un posto d’onore, detto "consolare" e si trovava alla destra del "triclinare" centrale, posto frontalmente alla porta in modo che un messaggero potesse comunicargli, con facilità, un messaggio urgente. Il padrone di casa doveva accomodarsi alla sinistra dell’ospite d’onore. Le dimore più ricche, potevano godere di più camere da pranzo: il "triclinio" estivo, orientato a nord e quello invernale orientato a ovest che sfruttava fino all’ultimo raggio di sole.

La cucina più antica era molto semplice, a base di cereali, legumi, formaggi e frutta. Con la conquista dell’Oriente acquistò dei sapori e dei profumi particolari che a noi, oggi, possono sembrare un mix tra la cucina orientale e quella medievale. Le nuove conquiste arrivavano, chiaramente, solo sulle tavole dei ricchi.

Quello che sappiamo oggi ci arriva principalmente dal ricettario di Apicio, un noto gastronomo di età Imperiale, che scrisse: "De re coquinaria" da dove possiamo trarre la maggiore conoscenza sulla cucina romana antica.

L’ingrediente principale della cucina Romana era il "garum" una salamoia usata, probabilmente, al posto del sale, molto costosa e difficile da trovare.

Il pepe, il cumino e il ligustico erano le spezie più usate e i "piatti forti" erano a base di carne, principalmente il maiale. Una caratteristica della cucina dell’antica Roma era l’accostamento di sapori contrastanti tipo il dolce con il piccante o il dolce con lo speziato. Sicuramente ai nostri giorni le ricette del famoso cuoco Apicio non avrebbero molto successo mentre per i Romani del tempo erano estremamente raffinate e appetitose. La maggior parte della popolazione, che non era ricca, faceva consumo di pasti molto più semplici, principalmente a base di cereali, legumi e frutta, sicuramente poca carne e sicuramente non poteva permettersi di svolgere la cena nei "triclinia" e tantomeno sdraiata sui comodi letti/divani. Lo svantaggio era quello di mangiare meno, il vantaggio di mangiare, probabilmente, in modo più sano senza l’uso di condimenti come il "garum" e senza il consumo eccessivo di carne che spesso, nei ricchi provocava la malattia della gotta.

Certamente si è venuti a conoscenza di pratiche ancor oggi in uso: sott’aceto, in salamoia, erbe essiccate, sotto sale. Una curiosità, invece è quella della tipica usanza di mettere sottoterra carote, rape, navoni e ramolacci. I poveri interravano infatti ciò che andava conservato unendolo a paglia e sabbia. La pasticceria era parecchio importante per i golosi Romani. Il piacere del dolce era apprezzato assai, infatti si conoscono varie preparazioni. Il più semplice era il libum, un pane dolcissimo edulcorato con miele, ma occorre nominare il globus che era come le nostre bombe fritte, poi c’era il luncunculus, ovvero una sorta di bigné.

Non mancavano ottimi piatti di dolci fatti con formaggio e miele, che erano numerosi: si va delle crocchette a formaggio e miele alle paste di formaggio amalgamate con frutti. Datteri farciti e noci erano usati per la preparazione dolci, vere specialità della Roma antica.

A fine pasto era il bosco a fornire ai romani mandorle, nocciole e noci, che oltre a essere squisite erano anche utili ai duri lavori, in quanto assai caloriche ed energetiche. Molto richiesti erano pure i pinoli, peraltro usati, non solo come dessert, ma anche per la preparazioni di particolari piatti come certi arrosti.

Altro frutto del bosco tenuto di gran conto era la castagna, lessata, arrosto o essiccata, ma altresì cucinata con finocchio oppure in purea o zuppa.

Dalla quercia si coglieva la ghianda, usata per vari scopi, anche per farinate. La carne più utilizzata nella cucina dagli antichi romani era quella di suino.

Le parti più apprezzate del maiale erano le mammelle e la vulva della scrofa perché considerati utili contro il malocchio. La carne migliore era, però, considerata quella di capretto e d’agnello, mentre la carne meno pregiata era quella di montone e capra. Molto apprezzata era la carne dei volatili, sia quelli allevati nei cortili e nelle voliere sia la selvaggina cacciata. Oltre a tordi e piccioni, i romani amavano cucinare animali importati da diverse regioni dell’impero, come fenicotteri, cicogne e grù; i più ricercati erano i piatti a base di fagiano e pavone. I più ricchi amavano gustare piatti a base di ghiro, e fenicottero di cui era molto ricercata la lingua.

All’allevamento di ghiri (gliraria) erano dedicate delle cure molto scrupolose. Per quanto riguarda la carne di pollo, non era molto apprezzata e veniva consumata principalmente dai poveri. Nell’antica Roma si mangiava anche l’asino selvatico (onager) e la selvaggina come il cinghiale, la lepre, l’oca, l’anatra, il cervo, il capriolo e il daino. Altro alimento fondamentale nella dieta degli antichi romani era il pesce. Inizialmente veniva consumato soltanto nei periodi di carestia ma presto venne considerato un piatto prelibato e un alimento essenziale. Tra le specie più conosciute c’erano l’orata, il luccio, la sogliola e la triglia.

Di solito il pesce veniva accompagnato da verdure bollite e anche da fegato e da carni varie. Nella cucina dell’antica Roma, erano molto apprezzati anche i pesci allevati nelle piscine: scampi, seppie, polpi, astici, aragoste e molluschi vari che venivano insaporiti con ogni sorta di salse e accompagnati con uova di anitra, pernice e piccione. Tra i molluschi il più richiesto era l’ostrica e molti personaggi benestanti possedevano addirittura degli allevamenti per coltivare personalmente le ostriche. Gli antichi Romani non avevano lo zucchero di canna e usavano il corroborante miele, si gradiva tuttavia sostituirlo anche con un prezioso dolcificante, oggi particolarmente utilizzato con gli yogurt. Lo si otteneva dall’uva, si trattava di un concentrato succoso e dolcissimo e che era preferito perché il miele era assai caro e mancava spesso nelle cucine della plebe Si dice che l’impero romano sia stato fatto più con il farro che con il ferro.

Infatti  la spada, ma anche la ricchezza di questa graminacea, furono entrambi tanto importanti per il popolo. Non v’era giorno che nel piatto mancasse tale pianta erbacea, o comunque, il farro o la farina di farro, costituivano componente essenziale della dieta d’ogni giorno. Può apparire troppo scientifico, ma riguardo a studi sulle proteine e sull’apporto calorico, si può dare una spiegazione di come la gente dell’Urbe assumesse una tipologia di alimenti tali, da poter essere superiori a chi si cibava con il ben più misero orzo. Il farro seguiva i romani anche durante il giorno, essi infatti ne masticavano i chicchi secchi, tenendoli nello zaino.

Col farro si preparavano primi, secondi, zuppe, creme e polente Mentre per i patrizi il condimento offerto dall’olio d’oliva era quello solito, per i plebei si usava il lardo.

Così troviamo il lardo anche per la preparazione di dolci e pasticceria, anche se va detto che nonostante quanto si possa pensare, i condimenti grassi erano pochissimi nella cucina dell’antica Roma.

Il lardo era usato anche nella preparazione di salsicce e salami, unito a carne magra di maiale, oppure per le fave cotte.

Il sale veniva usato assai dagli antichi Romani, siaper conservare il cibo, sia per condirele tantissime verdure presenti nella loro dieta.

Il sale veniva estratto dalle saline alle foci del Tevere ed era tanto importante che era uno dei doni più tipici che l’imperatore faceva alla plebe.

I più miseri, tuttavia, per risparmiare sul sale usavano anche bollire gli ortaggi in acquadi mare, rendendo così saporito il pasto senza bisogno di condimento.

Il pane  della Roma antica.

Il pane era vario nell’antica Roma e non mancava mai sulla tavola dei romani.
Il primo pane era con il farro, che a quei tempi pare fosse il cereale più coltivato.
Con il grano, inizialmente, facevano una pappa di frumento (la puls) che dalla polenta dei Greci si distingueva in quanto la loro era fatta    con orzo abbrustolito e macinato.
All’inizio, il pane era preparato nelle case mentre in seguito gli artigiani e i cuochi aprirono delle panetterie attrezzate con forni e mulini.

Il pane si divideva essenzialmente in tre qualità principali: il pan nero di farina stacciata rada che veniva consumato principalmente dai poveri, il pane bianco (panis secondarius) che era migliore del precedente più bianco ma non finissimo e il pane bianco di lusso (panis candidus, mundus) fatto con farina finissima che veniva consumato principalmente dai ricchi. Si ricorda anche il pan da cani (panis furfureus) fatto con la crusca. Il pane veniva cotto in forno o in recipienti speciali (panis clibanicus).

I tipi di pane conosciuto dai romani:

il "cibarius", un pane scuro poco costoso;
il "secondarius", fatto con farina integrale;
l’ "autopyrus", un pane nero fatto con farina non setacciata;
il "siligeneus", pane bianco di grano tenero;
il "parthicus", un pane spugnoso;
il "furfureus", pane fatto con la crusca;
il "pane d’Alessandria", cotto con gli spiedi;
il "piceno", cotto in pentola di coccio che si rompe di fronte ai commensali;
l’ "adipatus", pane condito con il lardo;
il "bucellatus", un pane biscottato;
l’ "ostearus", fatto per accompagnare le ostriche.

Cosa ci hanno lasciato i Romani!

Gli antichi padri latini che popolavano il vasto territorio laziale, oggi punteggiato dalle varie località delle Colline Romane, ci hanno tramandato, assieme alla loro primitiva civiltà, alcune delle più gustose e sfiziose ricette gastronomiche di cui si possa vantare l'intero suolo italico.
– I Romani ci hanno tramandato moltissime conoscenze riguardanti le api.
– Dai Romani abbiamo, copiato gli alveari di loro invenzione, che poco si discostano, a parte i  materiali impiegati, da quelli che usiamo attualmente.
– Apicio  con le sue ricette  l’uso delle erbe tra cui l’erba cipollina.
– L’uso del vino in cucina.
– La lingua latina

Tecniche della conservazione dei cibi nell'antica Roma.

Roma fu capace di sostenere una immensa popolazione urbana rifornendola degli alimenti essenziali per la nutrizione umana sotto forma di cibi sottoposti a trattamenti di conservazione.
Con pratiche che ancor oggi in uso: sott’aceto, in salamoia, erbe essiccate, sotto sale.
Per la conservazione dei cibi utilizzavano i metodi seguenti: affumicazione per i formaggi, essicazione per le carni, copertura di miele per i dolci
Più avanti nel tempo, la salamoia. Bisogna sottolineare, che il sale, allora, veniva uisato esclusivamente, come denaro.

Non si pensava di salare il cibo, solo per ottenere un sapore migliore. Il sale costava molto caro, in quanto utilizzato nei lontani viaggi e guerre, per il mantenimento dei cibi.
Una curiosità, invece è quella della tipica usanza di mettere sottoterra carote, rape e altre verdure. I poveri interravano infatti ciò che andava conservato unendolo a paglia e sabbia.

Disponibile sul sito http://www.cucinastorica.it/. Compilati e adattati per essere postato per Leopoldo Costa..

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