Il primo saggio che raccoglie tante testimonianze: in Italia 300 mila colpiti.
Giada risponde al telefono dalle 13,30 in poi. «Mi scusi, ma svegliarmi prima per me è impossibile», spiega l'ormai signora Da Ros, 42 anni da Pordenone, poco più che una ragazzina, quando due decenni addietro scoprì di soffrire di una patologia fino ad allora sconosciuta e difficile da diagnosticare: la sindrome da stanchezza cronica (Cfs). O, secondo la più recente definizione, altrimenti detta encefalomielite mialgica.
«E adesso va anche meglio. Fino a pochi mesi fa non uscivo la domenica, perché altrimenti avrei avuto bisogno di tre giorni per recuperare», spiega la presidente dell'associazione italiana di Aviano, tra gli estensori di «Stanchi. Vivere con la fatica cronica» (Sbc edizioni): una raccolta di esperienze dirette o raccontate dai parenti più vicini a chi è affetto da questa patologia, che ha di sicuro una base immunologica, anche se altro di certo, per il momento, non è dato sapere.
«La diagnosi per esclusione rende arduo il riconoscimento di una sindrome che è depressione o con la fatica avvertita dai pazienti malati di tumore - spiega Umberto Tirelli, primario di oncologia medica all'Istituto nazionale tumori di Aviano e unico italiano nel «pool» di specialisti che nel 1994 classificò la sindrome da stanchezza cronica-.
Il coinvolgimento del sistema immunitario definisce la maggior incidenza della malattia tra i giovani. Le loro difese sono più sensibili all'attacco di un agente infettivo, virale o batterico, che è poi la causa della sindrome». Resta sconosciuto, però, l'agente eziologico, nonostante diverse ipotesi avanzate negli ultimi anni. Di sicuro c'è lo zampino dei geni - 35 ne sono stati trovati modificati in pazienti Cfs in uno studio pubblicato tre mesi fa su «Nature Reviews Neuroscience» - e, di conseguenza, di una o più proteine alterate non ancora riconosciute: da qui i tempi lunghi nella diagnosi e l'assenza di una terapia specifica.
«L'uso di alcuni farmaci allevia i sintomi e può anche portare alla guarigione - chiarisce Tirelli riferendosi ad antivirali, corticosteroidei e immunomodulatori -. Uno stile di vita frenetico aumenta il malessere, ma l'unica certezza sull'insorgenza della malattia è un innesco batterico o virale». Altro che «influenza dello yuppie», come l'avevano etichettata 30 anni fa gli americani, i primi a parlarne diffusamente in un lungo servizio sulle pagine di «Newsweek» nel 1990.
La vita, così, cambia da un giorno all'altro. «Ho interrotto l'università, poi ho ripreso stata spesso confusa con la de un'infezione che mette in disordine il sistema immunitario, al punto da produrre anticorpi anche dopo la scomparsa del virus. Avvisaglie che, fatte le debite esclusioni, portano gli specialisti a diagnosticare l'imprevisto quadro patologico. Ricerche recenti hanno mostrato anche anomalie del metabolismo cerebrale dopo l'esame con la Pet.
Ma alterato - come ha provato Anthony Komaroff, professore dell'Università di Harvard - è pure il sistema nervoso autonomo che regola il tono vascolare: non è un caso che negli affetti si registrino ridotti volumi ematici. Unica certezza, anche se poco consolatoria: ridurre al minimo indispensabile le attività aiuta a stare meglio.
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Lo stress spegne le nostre difese
ILo stress cronico blocca l’attività del gene per la neuritina, che è in grado di proteggere il cervello da disordini dell’umore. È quanto risulta da una ricerca della Yale University, pubblicata su «Proceedings of the National Academy of Sciences»: lo stress sarebbe quindi in grado di impattare sulla nostra capacità di gestire i cambiamenti d’umore e portare all’insorgenza di depressione e disordini bipolari. «Abbiamo studiato la depressione indotta in un gruppo di ratti - ha spiegato Ronald Duman -: quando abbiamo potenziato l’attività della neuritina, le cavie sono guarite e la scoperta potrebbe essere utilizzata per produrre nuovi farmaci».
Testo di Fabio Di Todaro a pubblicato in "La Stampa, inserto Tutto Scienze & Salute", Roma, Italia, 4 Luglio 2012, n.1521, estratti p.5. Digitalizzati, adattato e illustrato per Leopoldo Costa
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