11.10.2018

OSPEDALE MESOPOTAMIA


Cinquemila anni fa, la medicina secondo i popoli della Mesopotamia, tra magia, superstizione e pillole di scienza.

"Cadi come una stella, crolla come il fuoco, prima che il coltello di selce e il bisturi di Gula ti infastidiscano": ecco la formula magica di una tavoletta babilonese ritrovata a Ninive (Iraq) per fare uscire un corpo estraneo dall’occhio invocando la dea della guarigione, Gula. Nella terra “tra i due fiumi”, dal 3000 a.C., ci si curava infatti con rituali e incantesimi, accompagnati da erbe, decotti e fumigazioni. Solo dopo, eventualmente, si passava alla chirurgia.

Secondo le antiche medicine orientali, d’altronde, l’origine di ogni male era di natura magica o demoniaca. E, per guarire, il primo passo era trovare i demoni che tormentavano il malato e combatterli a colpi di arti magiche.

1. SIGNORI MEDICI

Tra magia e incantesimi, Sumeri, Assiri e Babilonesi furono comunque fra i primi a sviluppare le basi per una medicina più articolata e complessa. Per l’assiriologo statunitense Samuel Noah Kramer, il primo medico di cui si ha notizia sarebbe proprio un certo Lulu vissuto a Ur nel 2700 a.C. E pensare che, secoli dopo, lo storico greco Erodoto (V secolo a.C.) era tornato da quelle terre sostenendo che “in Mesopotamia non hanno medici”. D’altronde al suo tempo la civiltà babilonese era in una fase di decadenza.

Élite.

Come si legge nella lettera di un sacerdote ad Assurbanipal, re dell’Assiria (668-629 a.C.), i medici c’erano e, per diventarlo, dovevano prestare un giuramento: “I medici […] che abitano la città sono sottomessi ai giuramenti nel mese di Nisan, il 16° giorno”. Se i medici godevano di un prestigio straordinario, il discorso era ben diverso per i chirurghi che sistemavano arti spezzati e lussati, asportavano ascessi, praticavano il taglio cesareo, la trapanazione del cranio e l’operazione della cataratta: la loro era considerata un’attività da manovali.

2. CASTIGO DIVINO

Non tutti i medici erano uguali. C’era il baru che, tramite la divinazione, individuava le cause demoniache della malattia e c’era l’ashipu che cercava di debellarla con scongiuri e preghiere. Per rintracciare il demone colpevole, il paziente che l’aveva offeso era sottoposto a un accurato esame fisico e allo studio della sintomatologia. I testi medici dell’epoca hanno descritto in modo minuzioso una lunga serie di morbi con relativo demone. Come nel caso dell’epilessia:

“Se un uomo mentre cammina, cade in avanti e i suoi occhi sono dilatati senza poter ritornare (alla normalità, ndr), se egli non può da solo muovere le mani e i suoi piedi: (è) il demone Gallū (che) lo ha afferrato”.

Guai dell’epoca.

Ma quali erano i malanni che gli dèi “mandavano” ai mesopotamici? Di disturbi dell’intestino, causati dal clima e dall’alimentazione, e del fegato; iperacidità gastrica; patologie alle vie respiratorie con tosse, cefalee con problemi alla vista, malattie veneree e dell’apparato urinario. Il cuore non era tenuto molto in considerazione, mentre gli occhi dei dottori erano puntati su stomaco, occhi, orecchie, denti e polmoni.

3. A OGNI COSTO

Nel codice di Ur-Nammu, sovrano sumerico di Ur che lo ottoscrisse nel 2050 a.C., sono elencate le leggi relative agli errori medici che provocano danni all’integrità psico-fisica della persona, su cui tornò anche, tre secoli dopo, il Codice di Hammurabi (1792 a.C. ca.). Qui si indicavano le pene in caso di mala praxis (“negligenza”) che arrivavano persino all’amputazione delle mani. “Se un medico apre un ascesso dell’occhio di un uomo con un coltello di bronzo, e distrugge l’occhio dell’uomo, gli si taglino le dita”.


C’è paziente e paziente.

Sempre nel Codice di Hammurabi si stabiliva la retribuzione dei chirurghi per ciascuna operazione: il prezzo cambiava a seconda del ceto del cliente. Si regolamentavano anche gli interventi di medicina veterinaria. Per quest’ultima le tariffe erano molto più basse: un’operazione su un asino andata a buon fine costava un sesto di siclo d’argento (un siclo era pari a 16,83 grammi). Mentre,“se un medico ha guarito un arto spezzato d’un paziente libero, fatto rivivere un viscere malato, il paziente darà al medico 5 sicli d’argento”.


4. GIRANDOLA DI LUMINARI

Ad accaparrarsi i migliori specialisti erano i re: come dimostrano le fonti, si creò una fitta corrispondenza tra i sovrani babilonesi, ittiti ed egizi tramite la quale ci si consigliava (e ci si faceva inviare) i medici di più acclarata fama.

Ricette a distanza.

Dagli scavi della città assira di Kalach è emerso, per esempio, lo scambio di missive tra Asarhaddon (re dal 680 al 669 a.C.), affetto da una grave malattia reumatica, e il famoso medico Arad-Nanai. Quest’ultimo pare fosse una sorta di luminare che si avvaleva di una schiera di medici che applicavano i trattamenti da lui prescritti.


5. SE HAI FEGATO...

Imedici assiri avevano un alleato per identificare il demone che ammorbava il paziente: l’estispicina, ovvero l’esame divinatorio del fegato, sede dell’anima e centro della vita, degli animali sacrificati. Nella città sumerica di Ur è stata ritrovata una stele del re Ur-Nammu (XXI secolo a.C.) su cui è impressa la scena tipica di un sacrificio e di un sacerdote che esamina il fegato di un capretto. Si realizzavano anche modelli in terracotta o metallo (a destra, uno di questi trovato nella città mesopotamica di Sippar) su cui venivano segnate le diverse zone, ognuna delle quali aveva un significato.

Farmacopea.

A questo si aggiungeva la prescrizione di impiastri, supposte, clisteri, fumigazioni a base di erbe (in una tavoletta ne vengono elencate 250). Talvolta, però, gli ingredienti erano meno bucolici. “Se un uomo è colpito da prolasso al retto, prendi una lucertola del deserto, seccala, pestala; con aglio, falla bollire, e che egli l’assorba. Metti uno scorpione vivo nell’olio, e lasciacelo tre giorni; con questo liquido friziona la parte malata”, si legge su una tavoletta, che sul funzionamento di queste cure rimane invece vaga.

A cura di Salvina Elisa Cutuli, pubblicato in "Focus Storia", Italia,N. 142, Agosto 2018, estratti pp.82-85. Digitalizzati, adattato e illustrato per Leopoldo Costa

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