2.21.2022

I CIBI CHE CONSUMIAMO POSSONO RENDERCI MENO INTELLIGENTI?


Ippocrate, padre della medicina moderna, è stato il primo a riconoscere l’effetto diretto del cibo che ingeriamo sulla nostra salute. Oggi, oltre 2mila anni dopo la sua morte, cominciamo finalmente a renderci conto di quanto avesse ragione.

In un nuovo studio condotto presso l’Università della California a Los Angeles, ratti ai quali era stata somministrata una dieta ad alto contenuto di fruttosio per appena sei settimane hanno denotato inferiori capacità di acquisire e ricordare informazioni, incontrando maggiori difficoltà nel percorrere un labirinto a una sola uscita. La sostanza somministrata ai ratti, sciroppo di mais ad alto fruttosio, è un ingrediente onnipresente nelle bevande e nei cibi pronti confezionati dall’industria alimentare, in particolare negli Stati Uniti.

Si tratta forse di una delle dimostrazioni più dirette del potenziale effetto sui nostri meccanismi mentali di alimenti largamente reperibili. Il fruttosio è lo zucchero naturalmente contenuto nella frutta, nonché il dolcificante di prima scelta dell’industria mondiale della trasformazione dei cibi. Il nostro consumo di questa sostanza è aumentato in maniera esponenziale, dai modesti livelli rilevabili nella frutta di stagione fino a una quantità media annua che negli USA supera la metà degli oltre 45 kg totali di zucchero raffinato consumati pro capite. Nel resto del mondo, le cifre non si discostano di molto.

Il problema del fruttosio è che, a differenza del glucosio, non provoca un’adeguata riposta ormonale da parte dell’organismo del consumatore. Anzi, sopprime l’effetto dell’insulina e delle sostanze chimiche cerebrali che segnalano la condizione di sazietà e la cessazione dello stimolo della fame. L’insulina agisce sul cervello, controllando i livelli ematici del suo principale “carburante”, il glucosio. I recettori insulinici sono abbondantemente presenti anche in alcune aree cerebrali, comprese quelle associate alla regolazione del consumo di cibo e alle funzioni cognitive.

Una rapida consultazione delle ricerche pubblicate in materia dimostra che l’ultimo studio effettuato non è il solo a puntare il dito contro il fruttosio. Alla fine dello scorso anno, Xingwang Ye e colleghi della Tufts University di Boston hanno riportato nel British Journal of Nutrition che il livello di assunzione abituale di zuccheri da parte di individui non diabetici di età superiore a 45 anni era inversamente proporzionale alle loro prestazioni mnemoniche e cognitive.

A marzo e ad aprile di quest’anno, altri studi indipendenti hanno dimostrato che l’insulinoresistenza si associa a un declino cognitivo e a una riduzione del volume cerebrale più accentuati in soggetti anziani non diabetici.

La quasi totalità dell’evidenza disponibile per quest’area di studio si riferisce ad adulti anziani, mentre non è chiaro se gli stessi effetti sarebbero riscontrabili in persone più giovani, in quanto è improbabile che livelli elevati di fruttosio possano provocare danni a breve termine. Le sei settimane di esposizione allo zucchero che hanno alterato le prestazioni mentali dei ratti della UCLA corrispondono, infatti, a diversi anni per soggetti umani. Il fruttosio, peraltro, non è l’unico ingrediente problematico della dieta moderna. Numerosi studi dimostrano che anche consumi elevati di grassi saturi “cattivi”, principalmente sotto forma di carne e latticini, oltre a diversi oli alimentari utilizzati per preparazioni industriali, ci predispongono al decadimento delle funzioni mentali nelle fasi avanzate della vita. Un po’ di conforto arriva dalla stessa ricerca della UCLA : quando ai ratti è stata somministrata una dieta leggermente più sana in quanto più ricca di acidi grassi Omega 3, si è assistito a un’inversione degli effetti del fruttosio sul cervello dei roditori. Altre ricerche dimostrano che un regime alimentare analogo a quello adottato dai nostri antenati dal punto di vista evolutivo (un esempio fra tutti, la cosiddetta “dieta mediterranea”, caratterizzata da grandi quantità di frutta, verdura e legumi) è in grado di proteggerci dal naturale declino cognitivo durante l’invecchiamento.

Per preservare l’intelligenza anche da anziani, dunque, sarebbe opportuno mettere in pratica il famoso adagio ippocratico: “Che il cibo sia la tua medicina”.

Testo di David Kennedy, pubblicato in "BBC Science Italia Agosto 2012", Milano, estratti p.19. Digitalizzati, adattato e illustrato per Leopoldo Costa

Il Professor David Kennedy è Direttore del Centro Studi Nutrizionali, Prestazionali e Cerebrali della Northumbria University, in Gran Bretagna.



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